MILANO – Consumatori più digitali e più propensi a cercare prodotti e servizi on-line. La pandemia da Covid-19 ha spinto la digitalizzazione di prodotti e servizi in Europa, modificando i comportamenti dei consumatori e accelerando quelle trasformazioni in corso che, in condizioni normali, avrebbero richiesto anni per affermarsi. A confermarlo è lo studio di Deloitte Umanesimo digitale, stella polare della ripresa, secondo cui il 30% dei consumatori europei (di Belgio, Francia, Germania, Grecia, Italia, Paesi Bassi, Svizzera, Regno Unito e Paesi scandinavi) ha provato per la prima volta lo shopping online e l’e-banking durante la prima ondata Covid. Quasi la stessa percentuale (35%) di intervistati pensa che sfrutterà i canali di vendita digitali anche dopo la fine dell’emergenza sanitaria. Ancora più significativo il dato sulla popolazione anziana: per sfuggire all’isolamento e alla solitudine, quasi la metà (44%) dei pensionati ha usato per la prima volta le tecnologie digitali. Ma digitalizzare ogni esperienza non è sempre la soluzione migliore: il 41% degli intervistati dichiara di preferire un mix tra canale e fisico per lo shopping. E il 38% ritiene che il processo di digitalizzazione non consideri sufficientemente l’aspetto umano.
«I dati che emergono dalla nostra ricerca confermano un’importante evidenza che fin dalle prime settimane di pandemia avevamo intuito: la tecnologia e l’innovazione sono state fondamentali per permetterci di continuare a lavorare, studiare, comunicare. Senza questo prezioso alleato l’impatto della pandemia sarebbe stato molto più pesante da tutti i punti di vista: sanitario, economico, sociale», commenta Andrea Poggi, Innovation Leader North and South Europe di Deloitte. «Ma da questo grande esperimento che la pandemia ha creato, abbiamo anche capito quali sono i limiti dell’innovazione: non possiamo pensare di trasformare ogni esperienza fisica in esperienza virtuale. L’uso massiccio e continuato della tecnologia durante i mesi più duri della pandemia, infatti, ha fatto riscoprire l’importanza della interazione fisica – in presenza – tra le persone. Quasi quattro intervistati su dieci (38%) ritengono che il processo di digitalizzazione non consideri sufficientemente l’aspetto umano: questo significa che, in futuro, dobbiamo ripensare l’innovazione in funzione di questi bisogni e caratteristiche delle persone. Dobbiamo andare nella direzione di una innovazione sempre più antropocentrica. E per questo pensiamo che le soluzioni vincenti saranno rappresentate da modelli ibridi, in cui c’è un mix integrato di digitale e fisico», spiega Poggi.
La digitalizzazione del lavoro
Secondo il report di Deloitte, la media europea di lavoratori che ha provato il remote working per la prima volta dopo lo scoppio della pandemia da Covid-19 è del 23%. Un valore che in Italia è ancora più rilevante, riguardando un intervistato su quattro (25%). Significativo anche il dato secondo cui il 38% dei rispondenti dichiara di essere riuscito a svolgere le proprie attività regolarmente durante il lockdown solo grazie all’innovazione tecnologica. Un chiaro segnale della trasformazione digitale su cui le imprese stanno spingendo, introducendo nuovi modelli e modalità operative.
La digitalizzazione dei consumi
Oltre ai significativi impatti sul mondo del lavoro e sulla sua organizzazione, le restrizioni causate dal Covid-19 hanno spinto i consumatori allo shopping on-line: il 30% degli europei intervistati ha scoperto lo shopping online e ha usato per la prima volta l’e-banking. Una percentuale ancora maggiore, pari al 35% degli intervistati, pensa che utilizzerà i canali di vendita digitali anche dopo la fine dell’emergenza sanitaria. Anche gli italiani sono in linea con questa tendenza: colmando il gap che li separa dai cittadini di altri Paesi UE, il 34% degli italiani ha sperimentato per la prima volta canali di vendita digitali, mentre il 32% ha usufruito di servizi di e-banking.
Gli anziani superano la diffidenza verso la tecnologia
Uno dei dati più interessanti che emerge dallo studio di Deloitte è l’effetto che la pandemia ha avuto sulla popolazione anziana. Per la prima volta nella propria vita, ben il 44% dei pensionati europei ha realizzato che le innovazioni digitali non sono così difficili da utilizzare. Un dato che raggiunge picchi significativi in Grecia (64%) e Italia (59%), dove la quota di popolazione anziana è molto rilevante. Costretti all’isolamento e spaventati dal contagio, le persone più anziane per la prima volta hanno superato la propria diffidenza nell’utilizzo della tecnologia, utilizzando app e servizi digitali come la telemedicina, lo shopping on-line e gli strumenti per comunicare a distanza con i propri cari.
Limiti dell’innovazione: non tutto può diventare virtuale
L’emergenza sanitaria ha anche messo in luce anche alcune lacune infrastrutturali che ostacolano il corretto funzionamento delle tecnologie a disposizione. Ad esempio, circa 2 rispondenti su 5 denunciano la difficoltà ad accedere ai servizi scolastici erogati tramite piattaforme di e-learning così come la mancanza di condivisione di dati sanitari tra strutture. Ma, al di là dei limiti infrastrutturali, ciò che emerge è che il processo di digitalizzazione non consideri abbastanza l’aspetto umano. A pensarla così il 36% degli italiani, in linea con la media europea del 38%. Ma ci sono paesi dove il problema è ancor più sentito, come la Francia, dove quasi la metà dei rispondenti (46%) lamentano tale carenza.
Alla base di questa percezione diffusa c’è il fatto che la dimensione digitale e quella fisica non sono sufficientemente integrate: da qui nasce la perdita di efficacia dell’innovazione. Ad esempio, chi durante il lockdown ha lavorato soltanto in smart working ha espresso in percentuale maggiore l’esigenza di contatto umano (55%) rispetto a chi ha lavorato in presenza o in modalità ibrida (50%). Per il futuro, quindi, si prevede che le soluzioni innovative più efficace e funzionali saranno costituite da un mix integrato di fisico e digitale.
Effetti collaterali della tecnologia incontrollata: il rischio infodemia
Infine, tra gli effetti collaterali dell’uso massiccio e incontrollato della tecnologia sperimentato per la prima volta durante la pandemia da Covid-19, c’è anche l’infodemia, ovvero quel fenomeno che l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) ha definito come «quell’abbondanza di informazioni, alcune accurate e altre no, che rendono difficile per le persone trovare fonti affidabili quando ne hanno bisogno». Neologismo coniato nel 2020, la parola infodemia deriva dall’inglese infodemic, a sua volta composto dai termini information ed epidemic. Una parola che fa riflettere sul potenziale uso eccessivo e sbagliato della tecnologia e i dirompenti effetti sociali, economici e politici che esso potrebbe suscitare.