MILANO – Un’idea nata durante il lockdown di un anno fa. E un ponte tra due discipline: da una parte l’intelligenza artificiale, dall’altra l’ottica non lineare. Due ambiti uniti dal lavoro dei ricercatori del dipartimento di Fisica del Politecnico di Milano, che con uno studio appena pubblicato sulla prestigiosa rivista Optica aprono nuove prospettive per il futuro. Lo studio propone infatti un innovativo collegamento tra il campo dell’intelligenza artificiale, sempre più studiato in questi ultimi anni, e l’ottica non lineare.
Carlo Michele Valensise, primo autore dello studio condotto insieme a Giulio Cerullo e Dario Polli del Politecnico di Milano e Alessandro Giuseppi della Sapienza di Roma, ha sfruttato il lockdown per approfondire la sua conoscenza dell’intelligenza artificiale, focalizzandosi in particolare sul Deep Reinforcement Learning (DRL), ovvero quella branca dell’intelligenza artificiale che si occupa di programmare agenti in grado di apprendere a controllare sistemi automatizzati. In altre parole il DRL riesce a “imparare” grazie all’interazione autonoma con il sistema che si trova di fronte.
Come dimostrato dal lavoro di Valensise, Cerullo, Polli e Giuseppi l’applicazione del DRL sull’ottica non lineare permette di semplificare alcuni processi e più in generale di velocizzare la sperimentazione. Ad esempio nel fenomeno di generazione di luce bianca, uno dei più comuni in questo campo di ricerca, gran parte del tempo viene occupata dal processo di ottimizzazione attraverso cui si riescono poi a ottenere impulsi ottici stabili e a banda larga. Il lavoro appena pubblicato dimostra, come prova di principio, la possibilità di sfruttare il DRL per ottimizzare automaticamente questo processo. L’agente di intelligenza artificiale, in particolare, esplora in autonomia i gradi di libertà che ha a disposizione per intervenire sul sistema e, studiando il loro effetto rispetto all’obiettivo prefissato (cioè la generazione di impulsi a banda larga), è in grado di garantire il buon funzionamento del processo.
“Le applicazioni dell’intelligenza artificiale stanno toccando ambiti sempre più disparati – afferma Carlo Michele Valensise, primo autore dello studio – anche se spesso passa il messaggio che i sistemi automatici possano sostituire la competenza umana. In realtà con il nostro lavoro stiamo proponendo un aiuto per migliorare la ricerca ed ottimizzarne i tempi. Ma non dobbiamo dimenticare che l’intelligenza artificiale è comunque sviluppata dall’intelligenza umana: il ruolo del ricercatore rimane dunque centrale”.
“Questo studio – aggiunge Valensise – è nato circa un anno fa, quando con le restrizioni dovute alla pandemia abbiamo cominciato a esplorare nuove prospettive di ricerca. E, nello specifico, ci siamo interessati all’intelligenza artificiale ponendoci una domanda molto precisa: come possiamo sfruttarla per il nostro campo di ricerca? Abbiamo quindi teorizzato le tecniche a casa sviluppando l’idea e poi, una volta riaperti i laboratori, abbiamo messo in atto l’esperimento, che è andato a buon fine. L’utilità di questa dimostrazione sta nella possibilità per il ricercatore di delegare lunghi processi di ottimizzazione, che spesso sono solo l’inizio di esperimenti più complessi”.