MILANO – Robot che crescono, evolvono e si muovono come le piante: sono i plantoidi, il sogno sviluppato in questi ultimi anni da Barbara Mazzolai, vice-direttrice della robotica dell’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) e ospite della nuova puntata di Dreambot, il podcast italiano dedicato al mondo della robotica.
“Il nostro lavoro – spiega Mazzolai nel podcast – è quello di studiare le piante e in particolare le loro capacità di movimento, di comunicazione e interazione con l’ambiente per poi cercare di replicarne le caratteristiche nel fare i cosiddetti plantoidi, un termine nato in analogia con quello di umanoide”. Biologa con un dottorato di ricerca in Ingegneria dei microsistemi e attualmente anche membro del Scientific Advisory Board del Max Planck Institute for Intelligent Systems, Mazzolai tenta da anni di dar vita a una tipologia di robot completamente nuova, ricerche per cui il sito Robohub l’ha inserita nel 2015 tra le 25 personalità più interessanti del settore. Come racconta in questa seconda puntata della seconda stagione di Dreambot, il podcast realizzato da DiScienza, le piante hanno un dialogo costante con l’ambiente e sono in costante evoluzione attraverso la crescita e il movimento. Allo stesso modo fanno i plantoidi: crescono attraverso l’integrazione di nuovo materiale e vengono guidati da stimoli provenienti dall’esterno.
Una delle grandi sfide della robotica dei prossimi anni sarà quella dell’integrazione all’interno degli ecosistemi naturali e della sostenibilità. Ne è un esempio I-Seed, un nuovo progetto che punta a realizzare sciami di piccoli robot ispirati ai semi che possano essere rilasciati su terreni e zone di interesse ambientale per il monitoraggio di parametri chiave come temperature, tasso di inquinamento e fertilità del suolo. “Dobbiamo anche iniziare seriamente a pensare all’impatto che queste tecnologie avranno sull’ambiente”, ha aggiunto Mazzolai. “Oggi siamo circondati di strumenti tecnologici che invecchiano troppo presto e si trasformano in spazzatura molto inquinante e difficile da smaltire. Non possiamo studiare l’ambiente e poi contaminarlo: l’elettronica sostenibile è di certo una sfida molto difficile ma dobbiamo assolutamente affrontare il problema”.