NAPOLI – Terapie sempre più vicine alle esigenze del paziente, meno farmaci da assumere quotidianamente, meno effetti collaterali e uno stile di vita “normale”, quasi uguale a quello di chi non è sieropositivo. Sono le nuove frontiere della ricerca sull’HIV di cui si parla a Napoli in occasione del III Workshop Nazionale “Hot Topics in Infettivologia” che si svolgerà il 26-27 settembre (Hotel Royal Continental). Scopo del convegno è la presentazione delle più significative novità nel campo delle malattie infettive ad un pubblico di specialisti interessati. La ricerca infatti ha fatto passi da gigante e con le terapie attuali l’aspettativa di vita di chi è sieropositivo è quasi sovrapponibile a quella di chi non ha contratto l’infezione; inoltre le molecole a disposizione oggi riducono quasi a zero gli effetti tossici nel lungo periodo e hanno diminuito drasticamente il numero di farmaci da assumere. Se con l’attuale standard terapeutico infatti le persone con HIV assumono tre o quattro farmaci ogni giorno, il presente è già caratterizzato dal regime a due farmaci -noto con la sigla internazionale 2DR- ed il futuro si annuncia particolarmente interessante, grazie alla presenza di studi molto avanzati per associazioni a due farmaci da somministrare per via intramuscolare ogni 1-2 mesi. Centrale, in ogni caso, è il ruolo dell’Infettivologo, attore principale nelle scelte diagnostiche e terapeutiche sia a livello ospedaliero che territoriale.
“Questo convegno spazierà su tutte le problematiche dell’infettivologia – afferma Rodolfo Punzi, Direttore Dipartimento Malattie infettive e Urgenze Infettivologiche: dall’HIV alle patologie epatiche fino ai trapianti di fegato, dalla cura per la tubercolosi all’antibioticoterapia e all’antibioticoresistenza. Cinque divisioni coinvolte nel convegno, per dimostrare la grande sinergia esistente nella nostra struttura. La nostra specializzazione sull’HIV è altissima, il nostro laboratorio di microbiologia è un vero centro di eccellenza, tecnologicamente avanzatissimo, che funziona h24 e che dà risposte anche alle richieste provenienti dagli altri ospedali della regione. Sull’HIV abbiamo un servizio di ospedalizzazione domiciliare e un servizio per la profilassi pre e post-esposizione che può interessare sia le coppie discordanti con un partner sieropositivo e uno negativo, sia chi ha atteggiamenti che potrebbero rivelarsi sessualmente a rischio”.
Per comprendere questo fenomeno con gli occhi di oggi serve capire cosa sta accadendo, quali sono i comportamenti e quindi i numeri reali. “A livello nazionale – spiega Vincenzo Sangiovanni, direttore U.O.C. Infezioni sistemiche e dell’immunodepresso – l’infezione da HIV non dà segni di flessione perché purtroppo la soglia di attenzione calata rispetto agli esordi della malattia. In Italia registriamo 3500-4000 nuovi casi all’anno; in Campania solo nell’ambito del Polo Infettivologico rappresentato dall’Azienda dei Colli e dal Complesso Ospedaliero Cotugno seguiamo circa 2200 pazienti e registriamo 100-120 nuovi casi annui. Nelle altre strutture ospedaliere ne registriamo nel complesso circa 50-60. Purtroppo, in più del 30% dei casi, i pazienti si presentano già con una malattia avanzata dato che l’infezione si manifesta in modo silenzioso e subdolo. Anche se la malattia è trasversale, i più a rischio sono i soggetti con una attività sessuale libera e promiscua, soprattutto tra i giovani che sono completamente disinformati sulla problematica. Per questo è fondamentale l’attività di prevenzione, formazione e informazione. Per esempio da noi è possibile fare il test di screening per l’infezione da HIV nel più totale anonimato, in maniera gratuita, senza prenotazione e senza impegnativa del medico curante, insieme a molti altri servizi e counselling”.
Sono decisamente lontani gli anni in cui la malattia, che aveva colpito icone mondiali, veniva definita la “peste del 2000”, poiché non lasciava scampo e condannava i pazienti ad un destino di morte in solitudine ed emarginazione. “In Italia la malattia è arrivata nella metà degli anni ’80 – conferma Elio Manzillo, Direttore U.O.C. Immunodeficienze e malattie dell’emigrazione –. I primi farmaci con cui siamo riusciti a fronteggiarla nella seconda metà degli anni ’80 sono stati gli NRTI che ancora oggi sono utilizzati. Negli anni ’90 sono arrivati gli inibitori della proteasi, con cui siamo riusciti ad evitare la progressione e la morte del paziente, anche se il numero di pillole e gli effetti collaterali erano molto tossici. Le cure attuali hanno migliorato la qualità della vita delle persone affette da infezione da HIV grazie a terapie antiretrovirali con numero ridotto di farmaci rispetto a quelle utilizzate in precedenza, terapie di combinazione STR che prevedono una sola compressa al giorno con efficacia e potenza elevatissime ed effetti collaterali minimi. La conseguenza di tutto questo è che la mortalità da HIV oggi è crollata al punto che oggi muore solo chi non sa di avere l’HIV o chi non si sottopone regolarmente alla terapia”.
“Le numerose e recenti acquisizioni scientifiche– conclude Vincenzo Esposito, Direttore U.O.C. Immunodeficienze e Malattie Infettive di Genere – hanno dunque drasticamente modificato l’aspetto dell’infezione da HIV, trasformandola da una patologia letale ed invalidante ad una patologia cronica. Considerato che i progressi scientifici in merito alla terapia antiretrovirale sono avvenuti in un arco temporale relativamente breve, ci si trova davanti ad una sorta di miracolo scientifico. Negli anni ’80 la mortalità era del 100 per cento, ora grazie alle nuove terapie il paziente presenta una aspettativa di vita paragonabile a quella della popolazione generale. Non solo. Al centro c’è la gestione ottimale di una terapia oggi molto semplice da assumere, nella maggior parte dei casi costituita da una singola compressa con tre differenti principi attivi, da assumere una sola volta al giorno, senza modificare le abitudini di vita, gli orari di lavoro o dei pasti. Recenti studi scientifici hanno dimostrato, inoltre, la possibilità di raggiungere questi stessi effetti terapeutici con la somministrazione di solo due principi attivi (2DR), la cui co-formulazione in una singola compressa sarà a breve disponibile, nonché la prospettiva di utilizzare formulazioni long-acting, da somministrare per via intramuscolare ogni uno-due mesi, già in avanzato stato di sperimentazione e ad oggi rese disponibili dall’azienda farmaceutica che ne concede l’uso in maniera compassionevole, cioè in casi selezionati di pazienti con ridotte alternative terapeutiche”.