PADOVA – La direzione in cui l’oncologia medica sta andando è quella della medicina personalizzata. Già oggi molti dei pazienti oncologici vengono trattati in maniera molto personalizzata dal punto di vista molecolare ma nei prossimi 5-10 anni probabilmente la stragrande maggioranza dei pazienti richiederà una caratterizzazione molecolare molto completa e complessa (uso di pannelli genici e di tecnologie NGS estremamente sofisticate e complesse). L’oncologia è pronta per accogliere questa rivoluzione dal punto di vista clinico e dell’organizzazione? Se n’è parlato durante gli Stati generali dell’oncologia ONCOnnection – Nord Est: Trentino Alto-Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, in corso a Padova presso l’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM). L’evento è organizzato da Motore Sanità con la sponsorizzazione non condizionante di Ipsen Innovation for patient care, Gilead, Daiichi-Sankyo, AstraZeneca, Janssen Pharmaceutical Companies of Johnson & Johnson, Bristol Myers Squibb, Servier, Takeda.
La rivoluzione tecnologica in oncologia porta nomi come tecnologie NGS, companion test in biopsia liquida, stato mutazionale, profilazione genomica. “Per accogliere appieno questa rivoluzione servono tecnologie molto avanzate, tecnologie di biologia molecolare che non sono alla portata di tutti i centri e che richiedono aggiornamenti continui, e anche la necessità di personale molto specializzato in grado di fare queste indagini e anche di interpretarle per poi tradurle in decisioni terapeutiche – ha spiegato Andrea Ardizzoni, Direttore Oncologia medica, Policlinico Sant’Orsola Malpighi, Bologna -. Questo tipo di rivoluzione richiede anche una rivoluzione dal punto di vista organizzativo perché non è pensabile che questa tecnologia sia distribuita sul territorio in maniera capillare, perché richiede centri di riferimento, in grado di svolgere numeri di indagine molto elevate. Se vogliamo governare questa rivoluzione-evoluzione bisognerà pensare a centri di riferimento regionali, possibilmente in grado di servire la grande maggioranza degli ospedali di quel distretto o area o regione, che dovranno essere finanziati ad hoc per potere avere le tecnologie, poterle rinnovare quando necessario, avere personale specializzato per farlo, e questi centri dovranno essere collegati con un sistema di rete agli ospedali dell’area geografica di riferimento in modo da poter scambiare il materiale in maniera rapida, poter scambiare le informazioni diagnostiche e la loro interpretazione. Senza questo tipo di organizzazione rischiamo di avere un paese dove non c’è omogeneità di accesso a queste tecnologie e alla ricaduta che queste avranno nella terapia oncologica”.
Il test HRD per l’analisi dell’Homologues Recombination Deficiency risulta fondamentale per il trattamento del tumore ovarico in quanto predittore di sensibilità ai PARPi, anche in associazione con bevacizumab. Ne ha parlato Laura Cortesi, Responsabile della struttura semplice di Genetica oncologica AOU di Modena. “Dati clinici hanno infatti dimostrato vantaggi in sopravvivenza delle pazienti trattate con tali farmaci in presenza di HRD. D’altra parte, i pazienti che non esprimono HRD non derivano, nel trattamento adiuvante del tumore ovarico, vantaggi significativi in termini di sopravvivenza. La quota di pazienti che risulta HRD è pari al 20%, che assommato al 30% di mutazioni BRCA1/2 rappresenta il 50% di tutti i pazienti affetti da neoplasia epiteliale ovarica di alto grado. Pertanto, l’identificazione di questa quota di pazienti risulta fondamentale per la corretta gestione terapeutica del tumore ovarico nello stadio iniziale e per una cost-effectiveness dei PARPi in questa patologia, essendo tali farmaci ad oggi molto costosi. Finora tale test è stato condotto su pazienti risultati non portatori di mutazioni BRCA1/2, a completamento dell’analisi genetica condotta nei singoli laboratori. L’unica possibilità per eseguire tale analisi è stata, fino a settembre 2022, il MyriadMyChoice test. Oggi alcuni laboratori possono produrre tale test “in house”, contestualmente al test BRCA1/2, garantendo fin dalla diagnosi la migliore terapia personalizzata per la paziente. Essendo l’HRD un companion diagnostic per l’utilizzo dei PARPi, è necessaria la rimborsabilità del test, dati anche gli elevati costi (circa 1800 euro). Si chiede pertanto di identificare in tempi rapidi i centri nazionali che possono garantire l’esecuzione del test, nel rispetto delle competenze acquisite, nonché l’ottenimento del rimborso per tale analisi”.
Sulla biopsia liquida è intervenuto Stefano Indraccolo, Dirigente medico e Responsabile dell’Unità Operativa UOSD Oncologia di base sperimentale e traslazionale, Istituto Oncologico Veneto IRCCS: “La biopsia liquida è una metodica di recente introduzione nella pratica medica che sta contribuendo a migliorare la diagnostica molecolare che è alla base dell’oncologia di precisione. Si tratta di un insieme di test genetici che vengono eseguiti su di un campione di sangue venoso nel quale si ricercano alterazioni molecolari utili per la prescrizione di farmaci target. La biopsia liquida utilizza tecnologie ad elevatissima sensibilità per rilevare tracce genetiche rilasciate dai tumori nel plasma, il cosiddetto ctDNA (circulating tumor DNA). La biopsia liquida è stata finora utilizzata in ambito clinico routinario nella diagnostica molecolare dei tumori polmonari e si ricorre a tale procedura in tutti i casi nei quali il campione di tessuto ottenuto mediante la biopsia tradizionale non sia adeguato per condurre le indagini molecolari richieste per impostare al meglio la terapia. È tuttavia probabile che nei prossimi anni l’impiego clinico della biopsia liquida vada ben oltre i limiti attuali. Stanno infatti emergendo dagli studi clinici in corso sempre crescenti indicazioni che questo tipo di indagine possa essere utilizzato per il monitoraggio della cosiddetta “malattia minima residua”, ad esempio dopo un intervento chirurgico, consentendo il riconoscimento di residui altrimenti “invisibili” di cancro, e possa pertanto essere utilizzata come biomarcatore dinamico tumorale al fine di indirizzare al meglio il trattamento post-chirurgico dei pazienti oncologici”.
“Le terapie a bersaglio molecolare hanno significativamente migliorato la prognosi dei pazienti oncologici avvicinando sempre più la terapia medica delle neoplasie al concetto di oncologia di precisione. L’ottimizzazione delle tecniche di diagnostica molecolare si è rivelata essenziale per l’identificazione dei pazienti in grado di beneficiare di determinati farmaci innovativi” ha spiegato Giulia Pasello, Ricercatrice Universitaria in Oncologia, Università degli studi di Padova; UOC oncologia 2 Istituto Oncologico Veneto. “In particolare, il sequenziamento di nuova generazione ha consentito la determinazione di più biomarcatori predittivi con maggiore sensibilità rispetto a metodiche più tradizionali, consentendo pertanto di profilare il paziente oncologico in modo completo sin dalla diagnosi. La prevalenza sempre maggiore dei pazienti oncologici e il costo dei farmaci innovativi sottolineano la necessità di uno strumento per coniugare innovazione a sostenibilità”. Una adeguata selezione dei casi da candidare a caratterizzazione molecolare estesa, la definizione del pannello ideale, e l’identificazione della strategia di accesso al farmaco possono ottimizzare il percorso diagnostico-terapeutico del paziente oncologico”, ha sottolineato Giulia Pasello. “Dati di letteratura infatti dimostrano che sequenziamenti mediante ampi pannelli identificano alterazioni molecolari target di nuovi farmaci in circa il 40% dei casi, e che l’accesso effettivo al farmaco si ottiene nel 25% della casistica iniziale. Il molecular tumor board rappresenta uno strumento con cui ottenere appropriatezza diagnostico-terapeutica e una omogenea ottimizzazione del percorso del paziente oncologico a livello Regionale e, auspicabilmente, a livello nazionale”.