Sono anni che leggo, sento, partecipo a corsi di formazione seminari, ecc. in cui si professa il lavoro in squadra e ne sono convinto.
Lo vivo ogni giorno e nel contesto competitivo e globale in cui siamo immersi, sento la necessità di confrontarmi, condividere obiettivi, prendere decisioni in cui il contributo del team non è un “nice to have” ma il presupposto per far prosperare e a volte far sopravvivere l’azienda.
Eppure sono anni che “Collaboriamo poco, non agiamo come una squadra, dobbiamo fare più team…”
Sono le frasi che riecheggiano nei corridoi tra manager, collaboratori, imprenditori, ecc.
Cosa rende così complesso tradurre in vita il “team work”?
Ho riflettuto su questo tema spinto da una recente lettura di un articolo della Prof.ssa Gino di Harvard Business School il cui focus non era sulle regole per la costituzione di un team (scopo comune, regole chiare, ruoli, ecc.) ma i comportamenti “ANTI TEAM”. Provo di seguito a fare i “mea culpa” e mettere nero su bianco qualche buon proposito.
Premessa…spesso mi lamento della mancanza di collaborazione
Basta lagnarsi e comincio a chiedermi: “cosa ho fatto oggi per stimolare la collaborazione?” (e se rispondo ho convocato un meeting….non sono sulla buona strada ?)
La risposta più scontata e più complessa è: SONO STATO D’ESEMPIO?
….Poi mi chiedo: “ma esempio in COSA DI CONCRETO?”
A seguire alcuni spunti di esempio sui quali sto lavorando
1) ASCOLTA PRIMA DI PARLARE (non è un caso se abbiamo due orecchie ed una bocca, forse la natura ci suggerisce che il rapporto corretto dovrebbe essere ascoltare due volte rispetto a quanto si parla…)
Sono un grande fun dell’ascolto attivo con le sue varie “tecniche” ma spesso mi rendo conto che anziché ascoltare fino in fondo con serenità, mentre l’altro parla mi preoccupo di PREPARARE LA MIA RISPOSTA.
Sarà ansia di performance, dimostrare (ma a chi?) che ho compreso, che sono smart, ecc. fatto sta che se non mi concentro perdo il focus della conversazione con il rischio di non comprendere bene il mio interlocutore e perdere il suo reale contributo.
Di fatto c’è il rischio che il focus diventi IO e non il problema che stiamo affrontando e per il quale ci stiamo incontrando.
2) IL CONFLITTO E LA SINDROME DEL “QUESTO NON CAPISCE NULLA”. Lo so, a voi non capita mai… ?
Ma quando un altro è distante dalle nostre posizioni (e magari lo stiamo ascoltando proprio per questo) il pensiero strisciante di “sto perdendo tempo, uffa vedi che è lento, ma questo che c’entra ora…questo è davvero rinco…” c’è il rischio prenda il sopravvento…
In quel caso mi dico “fermati un attimo e chiediti: perché mi infastidisce così tanto? Forse questo aspetto per me ritenuto irrilevante è importante per la buona riuscita del progetto? Cosa vuole dirmi con questa digressione?”
Magari davvero ho a che fare con un logorroico cronico e mezzo rinco ma nella maggior parte dei casi non è così e se metto FILTRI al contributo dell’altro c’è la possibilità che ad uscirne poco arricchito e mezzo rinco sia IO oltre la certezza di DARE UN ESEMPIO ANTI TEAM (ti convoco per liquidarti non ascoltarti…)
3) PENSA WIN-WIN, è una parola…
Altro “mantra inflazionato”, credo che ciò che rende così complesso arrivare a decisioni, accordi in cui tutti i partecipanti trovano una propria “vittoria” è la mancanza di CHIAREZZA in partenza.
In un team, costruito bene, in cui l’obiettivo e lo scopo devono unire e guidare tutti, dovremmo avere il coraggio di essere chiari e senza ipocrisie mettere sul tavolo i propri bisogni e le modalità attraverso le quali si pensa si possa contribuire allo scopo. Avere il coraggio di comportarsi in maniera trasparente mettendo da parte quei retropensieri (chissà cosa sta tramando Tizio, cosa vuole Caio, ecc.) e per una volta in un meeting aprire con “IO DA QUESTA SCELTA VORREI OTTENERE LA PROMOZIONE PER IL MIO COLLABORATORE, LO TROVO UTILE ALLA CAUSA E ALL’AZIENDA. TU CARO COLLEGA COSA VORRESTI OTTENERE?”
In conclusione, forse aldilà dei propositi concreti che spero mi aiuteranno, il vero segreto affinché il lavoro in team funzioni, non è passare da IO a TU o da IO a NOI, come spesso si sente dire, ma fare in modo che l’EGO trovi la propria soddisfazione e gratificazione nel gruppo, che l’EGO trovi nel lavoro in team la soddisfazione per sé e per gli altri.
Solo in questo modo, attraverso un gruppo di EGO soddisfatti e motivati, il team diventa vero acceleratore e propulsore di qualità ed il lavoro di chi si trova a guidare un team è la capacità di comprendere, far emergere e gratificare tutti gli EGO in modo armonico, sincronizzato e mirato ad un obiettivo comune.
* Ugo Papagni
*Direttore Business Strategies NetCom Group