NAPOLI – Carcinoma della mucosa uterina: nuove promettenti possibilità di cura di uno dei tumori femminili più diffusi grazie all’immunoterapia e alla caratterizzazione genetica delle lesioni. Il cancro dell’endometrio è tra i più frequenti (5/6% di tutti i tumori della donna e terza neoplasia più frequente tra i 50/70 anni). In Italia le stime indicano attualmente 122.600 donne che vivono dopo la diagnosi ed una mortalità stimata per il 2022 di 3.100 decessi (circa 400 in Campania) nonostante la sopravvivenza a 5 anni sia passata dal 77% al 79 per cento dal 2017 al 2020. Questo tumore presenta limitate opzioni di trattamento e una prognosi sfavorevole ma nel caso dei tumori MSI mutati dopo la chemioterapia, dove finora non c’erano alternative terapeutiche, arriva ora l’immunoterapia. Serve però personalizzare le cure.
Il tema è stato affrontato e approfondito in una sessione di studio scientifica che si è svolta nei giorni scorsi a Napoli promossa da Motore Sanità e a cui hanno partecipato esperti, docenti e primari di Università, ospedali e istituti di ricerca di tutto il centro sud.
“L’immunoterapia oncologica – ha spiegato Sabino De Placido ordinario di Oncologia medica alla Federico II di Napoli – si è consolidata in molte tipologie di tumori come nuovo fondamentale approccio terapeutico grazie a sorprendenti risultati ottenuti inizialmente nelle forme refrattarie a tutte le terapie disponibili, nel melanoma prima, nel polmone e nel rene successivamente. Oggi la ricerca sta progredendo e identifica più che un organo colpito da un tumore una genetica comune di alcuni tumori che condividono le stesse mutazioni e che possono colpire tessuti diversi“.
Lo studio di nuove indicazioni e trattamenti è uno degli obiettivi comuni per tutti i ricercatori al mondo.
“Fra queste – ha chiarito Umberto Malapelle professore Associato della Federico II – un importante e recentissimo sviluppo si è avuto con l’approvazione da parte degli enti regolatori Usa FDA ed EMA in Europa – della prima monoterapia anti-PD-1 da utilizzare nel carcinoma endometriale ricorrente o avanzato nelle pazienti con tumori MSI-mutati in progressione durante o dopo un precedente trattamento con un regime a base di platino.1, un chemioterapico comune. Questo, ancora una volta, sottolinea quanto l’accesso ad un trattamento efficace sia strettamente connesso all’accesso ad un test molecolare adeguato che vede l’unione delle due anime dell’anatomia patologica moderna: da un lato la definizione della morfologia, dall’altro lo studio delle alterazioni molecolari“.
Tutti concordi, gli altri relatori – tra gli altri Vincenzo Adamo, coordinatore della rete oncologica siciliana, Livio Blasio direttore della oncologia medica del Civico di Palermo, Pasquale Cananzi dirigente della farmacovigilanza siciliana, Francesco Colasuonno responsabile dei registri di monitoraggio Aifa e centri precorritori della regione Puglia, Francesco Legge direttore della Ostetricia dell’ospedale generale regionale di Bari , Liliana Mere ginecologa al Cannizzaro e Graziana Ronzino della Oncologia medica dell’ospedale Vito Fazzi della Asl di Lecce – nel ritenere un dovere di tutti sistematizzare le energie per fare in modo che questi test e questi trattamenti siano accessibili a tutti i pazienti.
Le istituzioni sanitarie della Regione Campania hanno avuto la possibilità di confrontarsi per discutere di questi temi e porre l’attenzione sulla necessita di armonizzare le procedure di valutazione di queste alterazioni al fine di massimizzare l’accesso a questa tipologia di test e di conseguenza a trattamenti innovativi ed efficaci.
“Il laboratorio di Patologia molecolare predittiva dell’Università degli studi di Napoli Federico II – ha concluso Giancarlo Troncone ordinario di Anatomia Patologia della Federico II – grazie alla collaborazione con diversi centri in Italia tra cui l’Università di Padova e l’Istituto Giovanni Paolo II di Bari ha generato una serie di evidenze che stanno consentendo la definizione di un percorso che, dal prelievo del campione, sino all’analisi molecolare garantisca la più alta probabilità di successo nell’identificare l’instabilità microsatellitare ed i difetti a carico delle proteine che controllano i meccanismi di riparo del danno al Dna per garantire l’accesso ai trattamenti immunoterapici. In tale contesto la capacità di condividere esperienze, pratiche di laboratorio, risultati e confrontarsi con i decisori politici è la principale arma per la diffusione massiva di questa tipologia di test“.
La rete oncologica regionale dunque come strumento di accesso rapido ed equo all’innovazione e la sostenibilità dei test e per standardizzare i percorsi diagnostici terapeutici e assistenziali.
BOX DI APPROFONDIMENTO
Il funzionamento del sistema immunitario nel paziente oncologico è da tempo al centro dell’attenzione dei ricercatori. Gli studi in questo campo hanno portato ad evidenziare alcune cause alla base del mancato funzionamento di un sistema immunitario non più in grado di riconoscere e contrastare le cellule neoplastiche da quelle sane. Concentrandosi su queste cause la ricerca ha prodotto negli ultimi 5-6 anni una rapida e dirompente innovazione.
Così già oggi l’immunoterapia oncologica, si è consolidata in molti tipi di cancro come nuovo fondamentale approccio terapeutico in grado di portare speranze ai malati e oggi quando l’ultima spiaggia resta solo una chemio aspecifica utilizzata al di fuori delle indicazioni c’è l’urgenza di offrire una valida opzione terapeutica rappresentata appunto dalle nuove frontiere dell’immunoterapia non ancora disponibili per tutti i casi che se ne gioverebbero. É fondamentale la necessità di favorire la collaborazione di tutti gli stakeholder per creare campagne di screening efficaci che permettano di testare/identificare le pazienti eleggibili affinché il clinico possa prescrivere il miglior trattamento possibile in base allo specifico profilo mutazionale della paziente.