MILANO – La chimica supramolecolare (che si occupa di sistemi multimolecolari), e in particolare il legame ad alogeno, ovvero l’interazione intermolecolare che coinvolge atomi di alogeno (I, Br e Cl) presenti in molecole organiche, può contribuire a migliorare le prestazioni di celle solari a base di perovskiti, consentendo di raggiungere alte efficienze ed una elevata stabilità. È questa la conclusione dei ricercatori del Politecnico di Milano che hanno pubblicato sulla prestigiosa Angewandte Chemie International Edition.
Le perovskiti ibride organiche-inorganiche – composti ionici costituiti da piccoli cationi organici ed alogenuri metallici – sono note sin dal 19° secolo, ma solo di recente sono state utilizzate in optoelettronica per la costruzione di laser, diodi, fotodetectors e celle solari. In particolare, la prima cella fotovoltaica a base di perovskite è stata prodotta nel 2009 e da allora c’è stata un’intensa attività di ricerca che ha consentito di raggiungere un’efficienza superiore al 25%, superando anche il silicio che attualmente domina il mercato del fotovoltaico.
Il basso costo e le ottime prestazioni delle perovskiti le rendono molto attraenti per applicazioni in ambito fotovoltaico, ma ci sono ancora una serie di problemi che impediscono a questi materiali di entrare sul mercato. Prima di tutto la loro bassa stabilità all’aria e all’umidità. Inoltre, la presenza di difetti, ovvero imperfezioni del reticolo cristallino, può generare degli “stati trappola” che interferiscono con il movimento dei portatori di carica (elettroni e lacune) generati dalla luce all’interno del materiale, intrappolandoli e provocando così perdite di energia elettrica. Generalmente questi stati trappola sono ioni alogenuro non legati che possono muoversi sotto l’effetto di un campo elettrico e ricombinarsi con le lacune.
Lo studio condotto al Politecnico ha evidenziato come l’uso di additivi in grado di formare legame ad alogeno con gli ioni alogenuro presenti nelle perovskiti, porta notevoli vantaggi per lo sviluppo di celle solari dotate di una migliore cristallinità e di maggiore stabilità. Il legame ad alogeno consente infatti di introdurre molecole fluorurate che vanno a passivare gli alogenuri superficiali permettendo di ottenere perovskiti idrofobiche e idrorepellenti. In questo modo gli stati trappola vengono bloccati con conseguente aumento dell’efficienza.
Inoltre la modifica superficiale della perovskite con molecole bifunzionali in grado di formare legame ad alogeno, consente una migliore integrazione della perovskite stessa all’interno della cella solare facilitando la generazione di corrente elettrica.
Dai dati riportati sembra che il legame ad alogeno abbia un notevole potenziale per lo sviluppo di una nuova generazione di celle solari basate su perovskiti. Tuttavia, per poter sfruttare appieno i vantaggi offerti dal legame ad alogeno è necessaria una migliore comprensione atomica/molecolare di questi materiali.
Il lavoro è stato scritto da Gabriella Cavallo, Giancarlo Terraneo e Pierangelo Metrangolo del Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria chimica “Giulio Natta” del Politecnico di Milano in collaborazione con Laura Canil e Antonio Abate (alumnus del Politecnico di Milano) dell’Helmholtz Zentrum Berlin fur Materialen und Energie.