ROMA – Lavorare lo stretto indispensabile: questo è il quiet quitting, la nuova risposta alla hustle culture, ossia la cultura dell’iperattività e dell’iper-reperibilità. Non significa lasciare il posto di lavoro, ma evitare di fare più del dovuto.
Neologismo nato sui social, “l’abbandono silenzioso” ribalta le priorità nell’equilibrio tra vita privata e lavoro. Il benessere delle persone acquista sempre più rilevanza e, per la prima volta, sorpassa la produttività nella scala dei valori.
Il quiet quitting è un forte invito a ripensare la nostra identità e i criteri con cui misuriamo il nostro valore. La nuova generazione di lavoratori si rifiuta di definire la propria vita sulla base della carriera professionale e sono in molti a dare più importanza alle attività extralavorative e investire tempo ed energie nello sviluppo di un’identità separata dal proprio ruolo professionale.
In che modo il coaching può aumentare il coinvolgimento del personale e ridurre il quiet quitting
Il grado di soddisfazione aumenta se i dipendenti si sentono supportati e incoraggiati ad andare oltre le normali mansioni e responsabilità. Proprio attraverso il coaching, l’azienda può dimostrare che tiene alla crescita personale e al benessere dei propri collaboratori. Il coaching può così diventare uno strumento prezioso per combattere questo nuovo fenomeno, agendo su alcune sfere fondamentali, come suggeriscono gli esperti di CoachHub, la più grande realtà d’Europa specializzata nel coaching digitale.
1. Riconquistare i demotivati
Il coaching aiuta i dipendenti demotivati a definire obiettivi realistici e stimolanti. Con una conversazione significativa sulle aspirazioni future e i desideri di ognuno, le persone si sentiranno incentivate a impegnarsi per raggiungere i propri traguardi. Secondo gli ultimi sondaggi, 9 quiet quitter su 10 non sono motivati a impegnarsi più dello stretto necessario sul lavoro. Grazie a regolari sessioni di coaching, i dipendenti troveranno, invece, la motivazione necessaria per sentirsi appagati e coinvolti.
2. Investire nel benessere delle persone
Se i dipendenti vedono il lavoro come una componente in grado di contribuire positivamente alla qualità delle loro vite, non saranno più attratti dal quiet quitting. Il coaching in azienda crea un’opportunità per coltivare il benessere e riduce l’impulso a ritirarsi silenziosamente dalla partecipazione attiva.
3. Migliorare la fedeltà
I dipendenti si sentono coinvolti se l’azienda investe su di loro. Se le persone percepiscono che il datore di lavoro si occupa concretamente del loro benessere, della loro crescita professionale e dei loro interessi, si sentiranno immediatamente più motivate a restare in azienda e a dare il meglio di sé. Il coaching è una strategia per coltivare la fedeltà all’interno dei gruppi di lavoro, poiché le persone si impegnano più volentieri per un’azienda che si impegna nei loro confronti.
4. Evitare il burnout
Attenzione però perché non sempre il quiet quitter è un dipendente demotivato che rifiuta di fare gli straordinari o di svolgere mansioni che non sono indicate nel suo contratto. Può trattarsi anche di una persona che ha tirato troppo la corda, per troppo tempo, e ha speso tutte le sue energie fino al punto del burnout, dell’esaurimento fisico e mentale: 8 quiet quitter su 10 sono, infatti, colpiti da burnout. Il quiet quitting si presenta come una valida soluzione per i dipendenti stressati, oberati e che ricevono poca o nessuna gratificazione. Ed è qui che interviene il coaching, che aiuta proprio a individuare i dipendenti demotivati o sull’orlo dell’esaurimento, coinvolgendoli e sostenendoli prima che gettino la spugna.
Se, da un lato, contribuisce a tutelare l’equilibrio, il benessere mentale e la vita extralavorativa, il quiet quitting è anche la scusa perfetta, per i più svogliati, per evitare di mettersi in gioco. Il trend è un chiaro segnale dei cambiamenti innescati dall’ingresso di una nuova generazione di professionisti nel mondo del lavoro e dalle dinamiche dello smart working. Il quiet quitting non deve preoccupare le aziende che mostrano interesse per il benessere dei propri dipendenti e forniscono loro delle strategie risolutive come il coaching. Investendo nel coinvolgimento della forza lavoro, le aziende possono facilmente scongiurare gli effetti più deleteri dell’abbandono silenzioso.
CoachHub
CoachHub è la piattaforma leader globale per lo sviluppo dei talenti che permette alle organizzazioni di creare programmi di coaching personalizzati, misurabili e scalabili per l’intera forza lavoro, indipendentemente dal reparto e dal livello di anzianità. Così facendo, le organizzazioni sono in grado di beneficiare di una moltitudine di vantaggi, tra cui maggiore coinvolgimento dei dipendenti, aumento dei livelli di produttività, miglioramento delle performance lavorative e fidelizzazione.
Il pool globale di coach di CoachHub include oltre 3.500 business coach certificati in 90 paesi in sei continenti, con sessioni di coaching disponibili in più di 60 lingue, per oltre 500 clienti. I programmi di CoachHub sono basati sulla ricerca e sullo sviluppo avanzati del nostro Coaching Lab, guidato dal Prof. Jonathan Passmore, e dal nostro Comitato Scientifico. CoachHub vanta il sostegno di importanti investitori del settore tecnologico, inclusi Sofina, SoftBank Vision Fund 2, Molten Ventures, Speedinvest, HV Capital, Signals Venture Capital, Silicon Valley Bank/SVB Capital, Partech. A settembre 2021, CoachHub ha acquisito MoovOne, pioniere francese del coaching digitale, e a febbraio 2022 la divisione dedicata al coaching di Klaiton Austria, con l’obiettivo di creare un’unica realtà dedicata alla democratizzazione del coaching.