ROMA – L’Indice Sintetico dell’Economia Meridionale continua a scendere e registra, nel 2020, secondo le stime preliminari, un calo di oltre 40 punti rispetto all’anno precedente, il più basso registrato a partire dal 2007. Gli effetti recessivi della pandemia sul PIL nel 2020 si prevede che siano appena meno pronunciati nel Sud (-9%) rispetto al Centro-Nord (-9,8%), ma comunque consistenti; per il 2021 e 2022 la ripresa del Mezzogiorno si prospetta invece sensibilmente più debole (rispettivamente +1,2% e +1,4%) rispetto al Centro-Nord (+4,5% e +5,3%). Alcune variabili evidenziano però anche una capacità di “resilienza” dell’economia meridionale, sulla quale puntare la ripresa, accelerando l’impiego delle risorse UE già disponibili e di quelle programmate già dall’anno prossimo.
È questa la sintesi che emerge dal Check-up Mezzogiorno sulla congiuntura del 2020, elaborato da Confindustria e SRM (Centro Studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo).
La pandemia continua a produrre effetti preoccupanti sul sistema socioeconomico del Mezzogiorno: tutti gli indicatori che compongono l’Indice Sintetico dell’Economia Meridionale registrano una contrazione significativa (PIL, investimenti, export e occupazione), salvo le imprese attive, in moderata crescita netta.
Pesa sul PIL soprattutto il calo dell’export del Mezzogiorno, che nei primi nove mesi del 2020 registra una diminuzione complessiva su base annua del 15,6%, contro il -12,2 del nel Centro-Nord; più marcata nel settore manifatturiero (-14% contro -10,8%), dove calano soprattutto i settori coke e prodotti petroliferi raffinati (quasi il 40% del Sud, contro il -35,4% del Centro-Nord), tessile e abbigliamento (-31,3% e -20,7%), mentre si registra una crescita dei prodotti alimentari, quasi tutta concentrata al Sud (+7,2%).
Un timido segnale positivo proviene però dalle imprese attive, che nel terzo trimestre 2020 aumentano complessivamente di poco nel Mezzogiorno (0,7%, +12 mila imprese), ma anche sul piano qualitativo (più società di capitali e meno società di persone e ditte individuali). Gli aumenti si concentrano quasi tutti nelle costruzioni (+1,9%), probabilmente per impulso delle misure del Governo sulle ristrutturazioni edilizie (il 110%) e l’aumento degli importi degli appalti pubblici (quasi 9 miliardi di euro nei primi 10 mesi del 2020, rispetto agli 8,4 miliardi dello stesso periodo del 2019); meno rilevante la crescita delle imprese di trasporto e logistica (+0,5%), indotta anche dagli effetti diretti e indiretti dell’emergenza sanitaria.
Preoccupante l’andamento dell’occupazione: la ripresa produttiva del terzo trimestre 2020 non è riuscita a compensare il calo rispetto allo stesso periodo del 2019, diffuso in tutta la Penisola ma particolarmente significativo al Sud (-2,2% ovvero 135 mila occupati in meno), con variazioni negative più consistenti in Calabria (-7,8%) e Sardegna (-7,5%). Il massiccio impiego della CIG in tutte le sue varie forme ha solo compresso la riduzione complessiva degli occupati nel Mezzogiorno, frutto di andamenti positivi e negativi nei macrosettori: un limitato arretramento nel settore primario (-1,4%) e più consistente in quello dei servizi (-3,5%), un marginale aumento in quello industriale in senso stretto (+1,2%) e in crescita nelle costruzioni (+6%). Il ricorso alle varie forme di sostegno al reddito da lavoro ha registrato nel Mezzogiorno un incremento esponenziale a partire da aprile 2020, infatti nei primi dieci mesi del 2020 è stato quasi 8 volte maggiore rispetto allo stesso periodo del 2019.
Le misure adottate dal Governo hanno migliorato la liquidità, invertendo la tendenza regressiva in atto fino a dicembre 2019 degli impieghi creditizi, riportandoli a giugno 2020 ai livelli di un anno prima. Allo stesso tempo si registra, però, un peggioramento dei ritardi di pagamento delle PMI delle imprese del Mezzogiorno, che nel terzo trimestre 2020 raggiunge un livello quasi doppio del dato medio nazionale rispetto allo stesso periodo del 2019, con un incremento della quota di imprese del Sud che superano i 60 giorni di ritardo di oltre il 50% rispetto al dato di un anno prima (dall’8% al 12,4%).
Sulle politiche di coesione, si registra un risultato positivo sulla certificazione della spesa dei Fondi strutturali, necessaria per scongiurare il rischio di disimpegno automatico e quindi la perdita delle risorse impegnate. A ottobre, l’Italia ha certificato 16,3 miliardi, pari al 90% delle risorse da spendere; il Sud c’è andato vicino, certificando l’87% delle risorse dei POR, con risultati migliori sul FESR di Abruzzo e Campania e sul FSE di Basilicata.
Sostanzialmente positiva anche la riprogrammazione dei Fondi strutturali 2014-2020, che ha sfruttato importanti margini di flessibilità introdotti dalla Commissione Europea per il contrasto alla pandemia. La riallocazione delle risorse sui POR del Mezzogiorno non ha penalizzato gli interventi a sostegno delle imprese, tuttavia quella finalizzata a fronteggiare l’emergenza sanitaria è stata meno consistente nel Mezzogiorno e, pur essendo coerente con il minore impatto della pandemia all’atto della sua definizione, questa scelta ma non si è dimostrata previdente rispetto ai suoi successivi sviluppi.
Tuttavia, c’è la possibilità concreta e immediata di intervenire sull’emergenza sanitaria, sui suoi impatti indotti dalla nuova fase pandemica e sul sostegno alla transizione delle imprese per una nuova politica di sviluppo del Mezzogiorno. Oltre alla prospettiva del PNRR e all’avvio del nuovo ciclo di programmazione 2021-2027, l’iniziativa REACT-EU, con i suoi circa 10 miliardi già disponibili per il 2021 e la possibilità di compensare spese fino al 100% sostenute a partire da febbraio 2020, rappresenta un’occasione da non perdere. A tal fine, occorre accelerare il processo di programmazione, coinvolgendo il partenariato economico e sociale a livello nazionale e regionale, operando in continuità coi Programmi operativi 2014-2020 e privilegiando i POR rispetto ai PON, per rafforzare l’azione di resilienza e di ripresa a livello territoriale.