MILANO – Grazie a un approccio innovativo solitamente usato per lo studio dell’autoimmunità nel diabete di tipo 1, un gruppo di ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano ha mappato la risposta anticorpale di 509 pazienti con Covid-19 ricoverati presso l’Istituto e ha identificato una classe di anticorpi molto efficaci nel combattere l’infezione: la presenza di questi anticorpi nel sangue è associata a una riduzione della mortalità di oltre il 60%.
La ricerca, pubblicata sul prestigioso Journal of Clinical Investigation, è stata condotta nei laboratori dell’Istituto di Ricerca sul Diabete diretto da Lorenzo Piemonti, professore associato presso l’Università Vita-Salute San Raffaele. L’approccio impiegato, per cui è stato appena depositato un brevetto di proprietà intellettuale, potrebbe aiutarci a riconoscere i pazienti a maggior rischio e permetterà di testare in modo più preciso l’efficacia dei vaccini attualmente in sperimentazione.
Il lavoro è stato condotto all’interno del maxi studio clinico osservazionale su Covid-19 coordinato dal professor Alberto Zangrillo, prorettore dell’Università Vita-Salute San Raffaele e direttore delle Unità di Anestesia e Rianimazione Generale e Cardio-Toraco-Vascolare, e dal professor Fabio Ciceri, direttore scientifico dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e docente di Ematologia e Trapianto di Midollo dell’Ateneo.
L’origine di un innovativo test
Gli anticorpi sono molecole speciali prodotte dal nostro sistema immunitario, costruite su misura per riconoscere una minaccia e aiutarci a sconfiggerla. Oltre a essere coinvolti nella risposta alle malattie infettive causate da virus e batteri, gli anticorpi giocano anche un ruolo nelle malattie autoimmuni. In questo caso invece di riconoscere una minaccia esterna, gli anticorpi riconoscono cellule dell’organismo e guidano il sistema immunitario del paziente ad attaccarle, producendo un danno.
“Rispetto alla situazione di una malattia virale, nel caso delle malattie autoimmuni – come il diabete di tipo 1 – la quantità di anticorpi presenti nel sangue è piuttosto bassa. Rilevare queste molecole con successo e distinguerle richiede metodiche ad alta sensibilità e specificità,” spiega Lorenzo Piemonti.
L’intuizione dei ricercatori è stata quella di applicare queste metodiche avanzate di studio degli anticorpi, sviluppate nel campo delle malattie autoimmuni, al Covid-19. “Analizzare il siero dei pazienti infettati dal nuovo coronavirus con il test che abbiamo sviluppato è un po’ come guardare con un microscopio invece che con una lente di ingrandimento.”
Non tutti gli anticorpi per SARS-CoV-2 sono uguali
“Bisogna ricordare che gli anticorpi non sono tutti uguali e possono riconoscere e legare punti diversi dello stesso virus determinando conseguenze differenti per la sua sopravvivenza e la capacità infettiva” spiega Lorenzo Piemonti.
Ecco perché, nello studio, i ricercatori hanno scoperto che alcuni tipi di anticorpi sono particolarmente efficaci nel combattere il nuovo coronavirus: sono quelli che riconoscono una regione relativamente piccola della proteina Spike, la proteina che permette al virus di agganciarsi alle cellule ed infettarle. Nel gruppo di pazienti con questo tipo specifico di anticorpi la mortalità risulta ridotta del 60% rispetto alla media. “Tra i tanti anticorpi possibili, capire quali sono più efficaci per sconfiggere SARS-CoV-2 è fondamentale, perché sono quelli che vorremmo monitorare nei pazienti, vorremmo utilizzare a scopo terapeutico e di cui vorremmo sollecitare la produzione con un eventuale vaccino.”
La miscela di SARS-CoV-2 e altre infezioni quali influenza
Oltre a rilevare gli anticorpi per SARS-CoV-2, i ricercatori del San Raffaele hanno testato il siero dei 509 pazienti anche per la presenza di anticorpi contro altri virus, in particolare quelli dell’influenza stagionale e altri coronavirus più comuni, i responsabili dei raffreddori stagionali. Questo è stato fatto per capire se la memoria anticorpale del sistema immunitario verso altri virus sia in grado di influenzare la risposta contro SARS-CoV-2. Secondo quanto ottenuto dai ricercatori, in una certa quota di soggetti si è evidenziata la presenza di una risposta anticorpale recente contro il virus dell’influenza, ma questa non si associa a un peggiore outcome clinico dei pazienti positivi al Covid.
“In altre parole, avere avuto una recente infezione da virus dell’influenza non sembra peggiorare le probabilità di guarigione in caso di COVID-19” spiega Piemonti. “Un risultato incoraggiante considerato l’arrivo della stagione invernale e la presenza combinata dei due virus. Questa evidenza però non ci deve dissuadere dal seguire la raccomandazione a sottoporsi alla vaccinazione antiinfluenzale.” Più complesso è risultato il rapporto con la risposta immunitaria verso altri coronavirus. Infatti, l’infezione da SARS-CoV-2 risveglia la memoria anticorpale pregressa suggerendo un ruolo importante delle precedenti infezioni nella risposta contro il nuovo virus. “Nel rapporto con il sistema immunitario e con la sua storia pregressa sta probabilmente parte del segreto per cui la malattia si manifesta in modo diverso clinicamente. Questa è la direzione a cui stiamo guardando per poter individuare le persone che sono a maggior rischio in caso di infezione” conclude Piemonti.