MILANO – Più di un milione e 200mila barriere ostacolano il flusso dei corsi d’acqua del nostro continente, rendendoli tra i più frammentati al mondo. Lo svela una ricerca che ha coinvolto l’Environmental Intelligence for Global Change Lab (EI Lab) del Politecnico di Milano, pubblicata oggi sulla rivista Nature (https://doi.org/10.1038/s41586-020-3005-2).
Quando si parla di barriere è facile immaginarsi quelle di grandi dimensioni, come ad esempio le dighe, ma in realtà la maggioranza (circa il 68%) è rappresentato da sbarramenti di dimensioni ridotte, inferiori ai due metri. Tombinature, briglie, guadi, chiuse e rampe rallentano il flusso dell’acqua provocando tra le altre cose danni alla fauna ittica e impedendo la migrazione dei pesci. Molte di queste barriere, rivela lo studio, sono ormai obsolete o non più utilizzate e la loro rimozione permetterebbe il ripristino della connettività fluviale.
La ricerca è uno dei frutti del progetto AMBER (Adaptive Management of Barriers in European Rivers), finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del Programma Horizon 2020. Negli ultimi quattro anni i ricercatori hanno mappato le barriere presenti nei corsi d’acqua di 36 Paesi del nostro continente, creando così un vero e proprio atlante delle barriere dei fiumi europei (AMBER Barrier Atlas). Anche grazie al lavoro dei cittadini comuni, che possono integrare il lavoro dei ricercatori attraverso la app Barrier Tracker, si stima che in media sia presente uno sbarramento ogni 1350 metri di corso d’acqua. In Italia il numero di barriere è di poco inferiore alla media europea: quasi 66mila in 135mila chilometri, una barriera ogni due chilometri.
“I fiumi europei sono per la maggior parte disconnessi” – afferma il professor Andrea Castelletti, direttore dell’Environmental Intelligence Lab del Politecnico di Milano – “Questo significa che, mentre il naturale flusso dalle sorgenti verso i bacini d’acqua riceventi è preservato, il percorso di pesci, nutrienti e sedimenti viene invece intralciato da una miriade di barriere di dimensioni ridotte. La buona notizia è che, a differenza delle grandi dighe che sono perlopiù impossibili da rimuovere, le piccole barriere possono in linea di principio essere eliminate. Potenzialmente, quindi, nei prossimi decenni saremo in grado di liberare i fiumi europei”.
I risultati del progetto AMBER sono già stati condivisi coi decisori politici e confluiranno direttamente nella Strategia dell’Unione Europea sulla Biodiversità per il 2030, che ha tra i suoi obiettivi quello di ripristinare almeno 25mila chilometri di fiumi a scorrimento libero in tutto il continente.