MILANO – In un contesto in cui le economie mondiali si trovano a fare i conti con l’impatto senza precedenti della pandemia di coronavirus, è sorprendente constatare quanto la situazione in Africa differisca rispetto ai Paesi occidentali.
I dati nel continente africano al momento indicano meno di due decessi per milione di individui, contro circa 200 in Europa e America del nord. Va riconosciuto che il numero di test effettuati in quest’area è il più basso al mondo in percentuale sulla popolazione (fonte: WTO). Tuttavia, se ciò potrebbe rendere meno affidabili i dati sul numero totale di casi, quelli sui decessi sono molto difficili da manipolare e possono quindi essere considerati attendibili. Si può concludere che i timori iniziali che il virus si trasformasse in una catastrofe umanitaria in Africa non si sono concretizzati e, anche se i casi aumentassero da qui in avanti, è improbabile che vengano superati i 100 decessi per milione di abitanti.
Quali sono le ragioni di questa differenza? Sicuramente questo sarà oggetto di numerosi studi in futuro. Al momento vi sono diverse teorie, riguardanti ad esempio le condizioni climatiche o la diffusione della malaria. Tuttavia, a nostro avviso vi è anche una spiegazione più semplice, legata ai dati demografici. Infatti, il tasso di fatalità del virus è molto più elevato tra gli individui con età superiore ai 50 anni. In questo senso, la demografia favorisce il continente africano, dove oggi solo il 15% della popolazione ha più di 60 anni di età e più del 70% della popolazione ha meno di 25 anni. Questo ‘vantaggio’ demografico può darci una certa fiducia sul fatto che il Covid-19 non devasterà l’Africa come molti si aspettavano: al contrario il suo effetto sulla popolazione potrebbe rimanere contenuto.
Dal punto di vista economico, l’impatto principale della pandemia nel continente passerà attraverso il bilancio delle partite correnti. È probabile infatti che l’economia globale entrerà in recessione o attraverserà un periodo prolungato di crescita più lenta, con un effetto negativo sul prezzo delle commodity. Tuttavia, va sottolineato che solo il 22% della crescita del Pil in Africa deriva dal commercio internazionale, mentre il 60% deriva dal consumo domestico. Ciò che i Paesi africani possono fare è utilizzare il tasso di cambio per assorbire lo shock esterno dovuto al virus, in modo da proteggere le proprie economie. Per fare un esempio concreto, se il prezzo del rame cala del 50% ma si permette al tasso di cambio di svalutarsi anch’esso del 50%, il valore dell’export in termini di valuta locale resta uguale, a beneficio dell’economia domestica.
Inoltre, se da un lato in Europa e negli USA si sta registrando un aumento della disoccupazione che determinerà una perdita di capacità produttiva, in Africa improbabile che ciò si verifichi, perché oltre il 70% dell’attività economica avviene nel cosiddetto settore informale. In questo ambito ciascuno deve badare a se stesso, e nessuno può permettersi di non lavorare. Questo è un ulteriore aspetto che fa sì che il consumo domestico non sarà eccessivamente impattato dalla crisi. In sintesi, la nostra aspettativa è che la crescita del Pil in Africa nel 2020 diminuisca da circa 4,5% a 1-2%, senza tuttavia entrare in recessione.
Questa previsione ha conseguenze molto significative per gli investitori. Se si considera la performance azionaria delle diverse aree del mondo a partire dal 2007, il valore delle azioni dei Paesi del G7 è praticamente raddoppiato, mentre in Africa è rimasto inferiore del 50% rispetto ai livelli precedenti alla crisi finanziaria globale. Questo divario dipende da diversi fattori, primo tra tutti il fatto che i rendimenti in Occidente sono stati spinti dal QE e dall’espansione della liquidità, di cui il continente africano non ha beneficiato allo stesso modo. Guardando solo a questi dati, investire sui mercati africani potrebbe non sembrare una strategia vincente. Tuttavia, se si considera un periodo più lungo, il quadro che emerge è completamente diverso.
Guardando agli ultimi 20 anni, nonostante la spinta del QE, il rendimento annualizzato delle azioni G7 è di appena 2% all’anno, mentre in Africa è pari a circa il 5,7%. Spesso infatti ci si dimentica che il rendimento delle azioni dei Paesi occidentali dal 1995 al 2007 è stato negativo. Questo è il motivo per cui vi è una differenza così marcata nei rendimenti a lungo termine, che persino gli ultimi 10 anni di sottoperformance non sono riusciti a pareggiare.
Il fattore fondamentale alla base di questa realtà è che le economie del G7 non stanno realmente crescendo. A partire dal 2008, nonostante le politiche monetarie, la crescita reale cumulata del Pil di questi Paesi è stata del 12%, poco più di 1% all’anno, mentre l’Africa è cresciuta complessivamente di quasi il 57%. Tuttavia, tale crescita reale non si è riflessa nelle valutazioni degli asset africani. Per fare un esempio, dal 2013 gli utili aziendali in Africa sono cresciuti di quasi il 90%, mentre i prezzi azionari sono calati di circa il 27%.
A nostro avviso, ora ci sono gli elementi perché questa dinamica inizi ad invertirsi. Stiamo entrando in un periodo in cui la crescita degli utili in Occidente subirà un grave deterioramento ed entrerà probabilmente in recessione. Le economie occidentali stanno perdendo capacità produttiva a causa del Covid-19 e occorrerà tempo per poterla ripristinare. Gli investitori inizieranno a chiedersi quali società effettivamente sono ancora in grado di generare profitti e crescita degli utili e torneranno a concentrarsi sui dividendi e il ROE per valutare i titoli azionari. In questo contesto, l’Africa si trova in una posizione privilegiata: ci aspettiamo infatti che, nonostante il rallentamento, la crescita degli utili africani sarà positiva nel 2020. Per di più, oggi gli investitori hanno la possibilità di acquistare le azioni africane a livelli di valutazione pari a quelli del 2000, nonostante la significativa espansione economica che si è verificata nel frattempo.
Le opportunità per investire nel continente africano non mancano. Per fare qualche esempio, in Africa vi è un settore tech in forte crescita che comprende alcune delle società leader nel mercato dei pagamenti via mobile. Sempre nel settore mobile, il livello di penetrazione è ancora molto basso e si prevede che entro il 2025 vi saranno 150 milioni di nuovi utenti che useranno i servizi di connessione, con una crescita del 400% nell’utilizzo di dati. Se si guarda invece al settore minerario, l’Africa occidentale è al primo posto al mondo per la scoperta di nuovi giacimenti auriferi. In conclusione, questo potrebbe essere veramente il momento giusto perché gli investitori guardino oltre le azioni tech statunitensi e prendano seriamente in considerazione un’allocazione sui mercati africani.
Erik Renander*
*Gestore del fondo HI EMIM Africa Fund, Hedge Invest Sgr