MILANO – Una volta quando un’azienda aveva in programma di compiere investimenti e non disponeva di abbastanza fondi per affrontarli si rivolgeva alle banche, che le davano credito e facevano da volano allo sviluppo delle imprese. Una pratica, questa, che ultimamente sembra non essere più così diffusa. Secondo alcune recenti statistiche, infatti, il sistema bancario sta riducendo i prestiti alle imprese, soprattutto se sono di piccole e medie dimensioni. I dati italiani parlano di 45 miliardi in meno nell’ultimo anno, con una riduzione rispetto al 2011 che si aggira intorno al 26%. Eppure le aziende hanno bisogno di fondi per provare a resistere in un mercato che cambia.
Ad aiutarle potrebbero essere le nuove tecnologie, attraverso piattaforme che possono fare la differenza. Ormai il futuro sembra ancorato alla sfera della tecnofinanza, che qualcuno chiama finanza alternativa, mettendo in evidenza che vive in opposizione a quella tradizionale. Ma che cos’è il Fintech precisamente?
La parola Fintech deriva da financial technology ovvero tecnofinanza e si usa per indicare le innovazioni tecnologiche che vengono inserite nel mondo del credito e delle banche. A generarle sono state principalmente le start up, ovvero le aziende giovani e piene di creatività, che hanno lanciato proposte innovative. Cui si sono accodati anche molti grandi gruppi finanziari. Oggigiorno il Fintech utilizza tanto le app più basilari quanto i programmi complessi, con sviluppi anche molto pratici. A dimostrarlo sono i dati di Fintech Adoption, secondo i quali un terzo dei consumatori di tutto il mondo utilizza due o più servizi tecnofinanziari e l’84% dei clienti sa cosa significa Fintech. E a pensarci bene certe parole che appartengono a questa rivoluzione sono ormai patrimonio comune: ad esempio bitcoin, criptovaluta, crowdfunding, blockchain.
A guidare in modo inarrestabile lo sviluppo del Fintech è stata l’Inghilterra, che ha definito un modello cui ormai anche gli altri Paesi europei stanno facendo riferimento. In base ad alcuni dati recenti, nel Regno Unito le piattaforme Fintech, che si occupano di prodotti finanziari e servizi, sono sfruttate da un quarto delle piccole e medie imprese locali. Le banche tradizionali non si oppongono a questo movimento e anzi lo sostengono. Da un lato hanno invitato alcuni dei loro clienti a soluzioni di questo genere, dall’altro si stanno muovendo per siglare degli accordi con alcune delle piattaforme esistenti e quindi cambiare un po’ pelle. Un processo inevitabile, che ha cinque fasi ben precise, come ha spiegato bene, anche Chris Skinner, esperto del settore e curatore del blog The Finanser.
La prima di esse è la disruption, che nel Regno Unito ha preso le mosse nel 2005 e ha visto lo sviluppo di portali che volevano rompere le tradizionali catene di mediazione nel mondo della finanza e di fatto distruggere le banche. Solo che gli istituti bancari funzionano da “intermediari regolamentati”, quindi non possono essere cancellati. Ecco perché si giunge alla seconda fase, quella della discussione in cui i due nuovi attori sulla scena finanziaria si sono studiati e incontrati. Seguono la fase della collaborazione, che è in corso ora, poi della integrazione e infine del rinnovo, che arriverà a modificare del tutto il settore, ma non prima del 2027.
Se questa scansione temporale è corretta, viene da chiedersi a che punto si trovi l’Italia?
Secondo gli analisti è ancora all’inizio, con portali e realtà economiche in via di affermazione. In base ai dati del 2018, infatti, le varie formule di Fintech hanno fornito alle piccole e medie imprese italiane poco più di un miliardo tra prestiti e fondi per acquisire minibond. D’altro canto, in Italia il 36% delle organizzazioni impegnate nel mondo della finanza ha aumentato nel 2018 i propri investimenti nei servizi legati alla trasformazione digitale, con una tendenza che sembra destinata ad aumentare, dal momento che per il 2021 si parla di un 58% in più di impegno nel settore: una corsa irrefrenabile. Molti colossi bancari italiani e stranieri hanno messo sul piatto cifre ingenti per continuare a trasformarsi e rimanere al passo con i tempi. E l’impressione è che in futuro le banche saranno sempre di più delle tech company, dominate da una cultura digitale e pronte a riorganizzare la gestione dei patrimoni, gli affari e le azioni su base virtuale. Lo sostiene anche il rapporto “Le banche del futuro”, realizzato da The Europea House Ambrosetti. I servizi finanziari cambiano, in ossequio alle nuove tecnologie, nel tentativo di assecondare le richieste dei clienti ma anche di aprire nuove sfide. In un mercato globale che è sempre più a portata di clic.