ROMA – Uno dei temi che recentemente la geofisica sta affrontando con attenzione è la comprensione dei meccanismi di rilascio nell’atmosfera delle emissioni di geofluidi provenienti dall’attività geodinamica del pianeta e, in particolare, quanto essi contribuiscano al bilancio globale dei gas serra.
“Nello studio”, spiega Paola Vannoli, ricercatrice della Sezione Roma 1 dell’INGV, “analizzando anche gas serra come il metano e l’anidride carbonica, indaghiamo quali sono i contesti geologici e tettonici che ne consentono la fuoriuscita dal suolo, e quindi la liberazione in atmosfera”.
L’indagine di questi meccanismi si è basata sull’analisi di dati multidisciplinari ed è stata condotta su scala nazionale. Essa può contribuire, da un lato, alla quantificazione delle emissioni di gas serra e, dall’altro, a migliorare la comprensione dei processi tettonici che danno luogo ai forti terremoti.
“Di solito questo tipo di studi e correlazioni vengono svolte su scala mondiale o, viceversa, con grande dettaglio a livello regionale e comunale. Noi, invece, abbiamo indagato questi fenomeni su una scala, per così dire, ‘intermedia’ ovvero a livello nazionale” spiega Paola Vannoli, che prosegue “L’Italia si è rivelata il luogo ideale dove effettuare questo studio per vari motivi. Innanzitutto, perchè nel nostro paese disponiamo di una buona conoscenza della sismicità e della tettonica oggi in atto nonché della sismicità storica e della storia geologica del passato; in Italia, poi, coesistono numerosi processi e contesti geodinamici assai diversi tra loro; disponiamo di più di un secolo di dati relativi ai geofluidi come, ad esempio, il prezioso lavoro di catalogazione e descrizione delle acque termali portato avanti da Luigi Tioli alla fine del diciannovesimo secolo; infine, siamo una delle aree con il più alto rilascio al mondo di anidride carbonica e metano”.
“I risultati della nostra ricerca” prosegue Paola Vannoli “indicano che le sorgenti termali e le emissioni di anidride carbonica sono decisamente prevalenti nelle aree vulcaniche in prossimità della costa tirrenica della Toscana, del Lazio e della Campania, dove la crosta subisce uno stiramento e un assottigliamento. Nei pochi casi in cui questi geofluidi sono presenti nelle aree interne dell’Appennino, si localizzano per lo più ai margini delle grandi faglie estensionali, come quelle che hanno causato i terremoti del 24 agosto e del 30 ottobre 2016, spesso in corrispondenza di strutture tettoniche trasversali alla catena appenninica. Al contrario di quanto usualmente ritenuto, possiamo affermare che le emissioni di anidride carbonica interessano solo marginalmente le aree in estensione attiva oggi sede di forti terremoti quali quelli del 2016. All’opposto, le emissioni di metano caratterizzano invece gli ambienti del pedeappennino e della Pianura Padana, sedi di faglie compressive capaci di terremoti di magnitudo moderata, del tipo di quelli che hanno colpito l’Emilia nel 2012”.
Concludendo, la ricercatrice afferma “Brevemente, in Italia il rilascio di geofluidi sembra essere controllato da due fattori determinanti: dalla deformazione tettonica in atto, che spiega la concentrazione di emissioni di anidride carbonica e di sorgenti termali in aree di assottigliamento crostale e la concentrazione di emissioni di metano in aree compressive, e dalla esistenza di discontinuità crostali profonde, che si sono create durante la lunga storia geologica della penisola e che spiegano la presenza sia di emissioni di anidride carbonica nelle aree interne dell’Appennino sia di importanti campi di vulcani di fango.”
“La ricerca continuerà per comprendere sempre meglio le interazioni tra le manifestazioni di geofluidi e la presenza di discontinuità geologiche capaci di controllare le modalità del rilascio sismico” conclude Paola Vannoli.