(PRIMAPRESS) – LONDRA – Per l’Unione Europea la formazione del nuovo “governo” non sarà facile e non sarà facile neanche mettere insieme un bilancio di programmazione se da più parti si intende ridiscutere dei parametri di partecipazione dei paesi membri a cominciare dall’Italia. Ma al coro di “bisogna cambiare questa Europa” si aggiunge anche la recente dichiarazione di Boris Johnson che da Londra tuona: “O ricaviamo un accordo migliore per il dopo Brexit o niente pagamento del conto di divorzio”. E a dirlo non è uno qualsiasi ma quello che sembra essere l’aspirante inquilino di Downing Street al momento della successione a Theresa May come leader Tory e prossimo primo ministro del Regno Unito. Forte dal sostegno crescente fra i notabili di partito, l’ex sindaco di Londra ed ex capo del Foreign Office si ripropone dalle colonne del Sunday Times come la garanzia più certa del rispetto del risultato del referendum del 2016 e dell’uscita del suo Paese dal club europeo alla scadenza della proroga del 31 ottobre senza ulteriori rinvii, «deal o no deal». L’obiettivo, assicura, è quello di trovare un’intesa migliore con Bruxelles, facendo cenno in effetti non tanto all’accordo di recesso (che i 27 hanno detto e ripetuto di considerare immodificabile) quanto alla dichiarazione allegata sulle relazioni future. Ed è proprio riferendosi alle relazioni future che non esita a rimettere in dubbio almeno a parole il versamento dei 39 miliardi di sterline sottoscritti dal governo May come liquidazione delle pendenze dovute per poter lasciare il club europeo. «I nostri amici e partner devono comprendere che questo denaro resterà custodito qui fino a quando non avremo maggiore chiarezza sulla strada dell’avvenire», è il suo messaggio. Accompagnato peraltro subito dall’ammiccamento verso «un buon accordo, nel quale i quattrini sono un solvente eccellente e un ottimo lubrificante».
Per il resto, “BoJo” evita atteggiamenti troppo radicali sulla scena interna. Tanto da rispolverare i ricordi degli studi classici a Eton e a Oxford giurando d’essere la carta migliore a disposizione dell’elettorato Tory e dell’establishment per portare il Paese «in acque tranquille»: lontano dalla scelta «fra Scilla e Cariddi», ossia fra la prospettiva di un ipotetico governo laburista ispirato al presunto «messaggio marxista» di Jeremy Corbyn da un lato; e il populismo imputato dall’altro al nuovo Brexit Party di Nigel Farage, sempre più minaccioso, sondaggi e conteggi recenti delle urne alla mano, come concorrente a destra del Partito Conservatore. – (PRIMAPRESS)