NAPOLI – Una sfida sociale quella che, puntualmente, va in scena tra i tavoli de La Taverna a Santa Chiara, nel centro storico di Napoli. Nell’allegria generale dei commensali, la ribalta è tutta per loro: i contadini ed, in generale, i piccoli produttori delle grandi materie prime messe nel piatto.
“Per me fare cibo, oggi, è un atto politico e significa fare delle scelte. Non è più possibile mettere nel piatto qualcosa che non abbia una connotazione etica”. Queste le parole di Nives Monda della Taverna, per sintetizzare lo spirito delle loro cene a tema dedicate al mondo dell’agricoltura e delle piccole produzioni artigianali.
“La nostra sfida è raccontare i singoli tasselli della filiera alimentare, partendo proprio dalle primissime posizioni”. Continua Nives e, a lei, si aggiungono alcuni dei protagonisti dei menu “buoni e giusti” della Taverna: Anna Zeppetella di Masseria del Sesto, a Pietravairano, in provincia di Caserta. Contadino custode in piena regola, grazie al coraggioso recupero del Lupino gigante di Vairano. “Oltre all’allevamento bovino per la produzione di latte, abbiamo deciso di lanciarci in questa nuova avventura fatta di agricoltura sostenibile, fedelmente legata alla tradizione agricola del territorio.” Oggi il Lupino gigante di Vairano – coltivazione quasi del tutto scomparsa – è Presidio Slow Food.
Con lei, Ciro Pirone di Ru Casa, azienda agricola a Dugenta, in provincia di Benevento. Coltivatore di grani antichi – vecchi, come preferisce definirli lui – quali Senatore Cappelli, Solina, Gentil Rosso e Romanella. Contadino campano che accompagna i ritmi cadenzati di madre natura, “la terra per me ha un valore enorme, io la rispetto, non pretendo di controllarla”. Con il suo grano viene prodotta la pasta artigianale utilizzata in Taverna, quella del pastificio Casa del Tortellino di Gioacchino Orlando ad Angri. “La nostra è una pasta realizzata in maniera artigianale, con le temperature di una normale giornata di sole. Per questo conserva tutte le sue potenzialità, un indice glicemico basso, ottima resa in cottura e, soprattutto, l’amido che colora l’acqua di cottura della pasta e e che aiuterà, subito dopo, a legare i condimenti”.
Tra i piatti dedicati ai piccoli produttori, Potito Izzo, chef della Taverna, propone taglieri con lupini e Lupinese, una sorta di maionese realizzata con il Lupino gigante di Vairano, mentre, tra i primi, Ziti alla pizzaiola, con pomodoro e origano.
C’è una bella carta dei vini, soprattutto campani, ma quelle della Taverna sono serate in cui vengono proposti anche abbinamenti fuori dagli schemi, ne è un esempio, Giuseppe Schisano di Birrificio Sorrento, con due proposte artigianali: la chiara Syrentum, con bucce fresche di Limoni di Sorrento IGP e la Parthenope, scura, alle noci di Sorrento.
Ristorante simbolo del centro storico a Napoli, La Taverna a Santa Chiara propone una cucina napoletana, tradizionale, semplice e gustosa. Ogni ingrediente utilizzato viene raccontato con familiarità e aneddoti legati all’amicizia con il produttore: la sfida si vince anche facendo una buona comunicazione. La Taverna a Santa Chiara è un ristorante Slow Food, movimento storicamente nato per parlare non solo di gastronomia, ma di tutto quello che la precede. E prima di ogni cosa, vengono i contadini. Un menu che nasce da una spesa di prossimità, sostenibile nel senso concreto della parola.
Eretici, folli e santi. Si definiscono così. Eretici perché ogni atto è frutto di una scelta, netta e mai di convenienza. Folli a voler resistere in un centro storico che sta lentamente perdendo i connotati. E santi perché resistere, oggi, impone un’enorme dose di coraggio e di umanità.