MILANO – Senza comunicazione, non c’è innovazione. Può sembrare un punto di vista radicale ma, a ben guardare, è proprio così. Anzi, per essere più corretti: la comunicazione dell’innovazione non è separabile dalla stessa innovazione perché ne rappresenta un aspetto fondante, costitutivo. L’idea più rivoluzionaria, tenuta nascosta, o più banalmente spiegata male, è destinata a inevitabilmente a ridimensionarsi, a essere rilevante solo come fattore tecnico. Cioè come pura invenzione, ma l’innovazione è molto di più. L’innovazione è come un’onda che cresce, aumenta di altezza e sviluppa una propria forza d’urto. Questa forza d’urto è la capacità di generare impatto sociale, economico e culturale. E tutto questo non può avvenire in silenzio, senza il contributo della comunicazione.
Fatta questa premessa, è facile comprendere come l’accettazione, prima, e la comprensione, poi, siano fattori determinanti per il successo dell’innovazione. E questo vale sia a livello di servizio o prodotto sia a livello di innovazione aziendale. Faccio un esempio di prodotto innovativo: alzi la mano chi ha mai sentito parlare di Ibm Simon? È stato il primo smartphone con schermo touch, messo a punto dall’azienda americana nel 1992, molto in anticipo rispetto alla diffusione delle app e dei telefoni intelligenti. Prima dell’avvento di Apple, i leader della telefonia mobile erano Nokia, Sony Ericsson, Panasonic e Blackberry. Nessuno di questi ha creduto in una tecnologia che, di fatto, era già disponibile da anni. Nessuno ne ha intuito il potenziale d’uso da parte degli utenti. E soprattutto nessuno è riuscito a comunicare quella nuova, rivoluzionaria, interfaccia. Poi è arrivato l’iPhone, Steve Jobs e i keynote con la frasetta magica “one more thing” e… sappiamo com’è andata la storia.
Meno evidente, ma forse ancora più significativo è quello che succede all’interno delle aziende che avviano percorsi di innovazione. Fino a qualche anno fa si pensava che l’innovazione fosse un processo come tutti gli altri: voluta, o almeno approvata, dal CEO poi si sarebbe diffusa all’interno dei vari dipartimenti e delle diverse business unit, esattamente come un ordine di servizio. Ci si è resi conto in fretta, però, che la situazione era un po’ diversa. Il cambiamento si ottiene soltanto se ne viene compresa la natura e ne viene condivisa la finalità, altrimenti le resistenze individuali e collettive sono troppo forti. Perfino per un provvedimento dell’amministratore delegato. Per questa ragione, oggi, le imprese che vogliono intraprendere un percorso di innovazione lo fanno approcciando il tema della cultura aziendale. Il coinvolgimento delle persone è fondamentale per vincere la sfida dell’innovazione, perché il cambiamento è il risultato di un’opera di ingegno collettivo e tutti devono dare il loro contributo. È ovvio che, anche in questi termini, la comunicazione gioca un ruolo centrale.
Se nessuno sente, il rumore non esiste
Nel 1713 il filosofo irlandese George Berkeley pubblicò il trattato Tre dialoghi tra Hylas e Philonous. La sua tesi era molto semplice: l’esistenza stessa del mondo dipende dalla sua percezione. Di conseguenza se un albero cade in una foresta e nessuno lo sente, non c’è alcun rumore. Il suono è una vibrazione trasmessa ai nostri sensi attraverso le orecchie e riconosciuta come suono solo dai nostri centri nervosi. La caduta di un albero, o di qualunque altro oggetto, produce una vibrazione nell’aria, ma se non ci sono orecchie a sentirla, il rumore non esiste.
All’innovazione senza comunicazione succede la stessa cosa. Non produce effetti, non innesca reazioni, non ha alcuna rilevanza a livello economico, sociale e culturale. E questo è tanto più vero all’interno del modello, sempre più diffuso, dell’open innovation, che implica e si compie attraverso il coinvolgimento di risorse diffuse. Se l’innovazione tradizionale avveniva in stanze e laboratori segreti, l’innovazione aperta è alla luce del sole perché, per realizzarsi, ha bisogno di idee, tecnologie e persone che non appartengono a una sola azienda o istituzione. Nessuno è grande abbastanza per assicurarsi un tale patrimonio. Per questa ragione è necessario mettere insieme risorse in grado di condividere conoscenze ed esperienze e, soprattutto, raggiungere un obiettivo comune da cui trarre i rispettivi benefici. È un processo complicato ma dalle enormi potenzialità (che anche in Italia sta dando prova della propria maturità). Un processo che può essere arricchito in modo significativo dalla contaminazione tra i vari soggetti coinvolti. Resta il fatto che, alla base di tutto questo, ci deve essere un solido processo di comunicazione in grado di ingaggiare i diversi attori, permettere loro di individuare finalità comuni e raggiungere il livello di trust necessario per un affrontare con successo un percorso del genere.
Negli ultimi mesi Cariplo Factory è stata impegnata sul progetto di Federated Innovation, il polo di innovazione che nei prossimi mesi prenderà vita all’interno di MIND Milano Innovation District, la cittadella tecnologica in costruzione nell’area ex area Expo. La missione di Federated Innovation è creare un ecosistema inclusivo, gettando un ponte tra l’Italia e l’innovazione internazionale. Un’iniziativa unica nel suo genere, che intende attrarre e coinvolgere i migliori talenti (non solo italiani) per avvicinarli e coinvolgerli nei progetti con startup e corporate. A completare il quadro e assicurare a Federated Innovation tutte le competenze ed esperienze necessarie per lo sviluppo delle attività, sarà coinvolta l’intera filiera dell’innovazione italiana, dagli incubatori agli investitori. Possibile che un progetto così ambizioso rinunci alla comunicazione? Possibile che un ecosistema così articolato abbia successo senza che i soggetti a cui si rivolge ne abbiano compreso esattamente la visione, gli obiettivi e l’impatto a livello economico e sociale? Possibile catalizzare talenti, tecnologie e capitali, senza maturare uno storytelling? Difficile immaginarlo. Non a caso la comunicazione è stata al centro del disegno strategico fin dalle prima battute.
Senza comunicazione, non c’è innovazione. Non posso che constatare che, ormai, gran parte dei partner con cui collaboriamo hanno metabolizzato questo principio. E, di conseguenza, ne tengono conto nel momento della progettazione dei loro percorsi di innovazione. Un antidoto a quello che è il principale rischio di queste attività: che resti un esercizio di pure teoria, difficile se non impossibile da portare in execution e, soprattutto, senza impatti di valore per l’azienda. Esattamente quello che è successo a Xerox Star all’inizio degli anni 80, quando anticipò di una manciata di anni i computer con interfacce grafiche e connettività: un’invenzione che è rimasta un mero fatto tecnico fino a quando Windows e Macintosh non sono riusciti a trasformarla in vera innovazione. Investendo in comunicazione.
Matteo Scarabelli*
*Chief Communications Officer di Cariplo Factory