ROMA – È un calo medio devastante quello subìto dalle popolazioni di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci dal 1970 in tutto il mondo: le popolazioni di fauna selvatica monitorate dal Living Planet Report (LPR) 2022, il rapporto biennale sulla salute del pianeta, che il WWF lancia oggi a livello globale, sono calate in media del 69%.
Il report evidenzia le drammatiche prospettive dello stato di salute della natura e lancia un appello urgente ai governi, alle imprese e all’opinione pubblica: serve subito un’azione di trasformazione per invertire la drammatica perdita di biodiversità che, insieme all’emergenza del cambiamento climatico indotto dall’uomo, minaccia il benessere delle generazioni attuali e future.
Il Living Planet Report viene presentato stamattina alla sede del CNEL a Roma, nel corso di un dibattito pubblico moderato da Barbara Gallavotti, divulgatrice scientifica, in cui interverranno Luciano Di Tizio, Presidente WWF Italia, Tiziano Treu Presidente del CNEL, Elena Grech Vicedirettore della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, Valentina Marconi della Zoological Society of London e coautrice del LPR, Carlo Rondinini Professore di Zoologia e Biologia della Conservazione Università di Roma “La Sapienza”, Alessandra Prampolini Direttrice Generale del WWF Italia, Stefano Laporta Presidente di ISPRA, Marco Tarquinio Direttore di Avvenire, la chef e ambassador WWF Antonia Klugmann, Francesco Petrelli Relazioni Istituzionali Oxfam Italia e Martina Comparelli in rappresentanza di Fridays For Future.
Con il suo bacino di dati, che comprende quasi 32.000 popolazioni di 5.230 specie di vertebrati, il Living Planet Index (LPI), fornito nel rapporto dalla ZSL (Zoological Society of London), mostra che nelle regioni tropicali l’abbondanza delle popolazioni di vertebrati selvatici monitorati sta crollando a un ritmo particolarmente sconcertante. Il WWF è estremamente preoccupato per questa tendenza, poiché queste aree geografiche sono tra le più ricche di biodiversità al mondo. In particolare, i dati del LPI rivelano che tra il 1970 e il 2018 le popolazioni di fauna selvatica monitorate in America Latina e nella regione dei Caraibi sono diminuite in media del 94%.
In circa 50 anni, a livello globale le popolazioni d’acqua dolce monitorate sono diminuite in media dell’83%: si tratta del più grande declino di qualsiasi gruppo di specie. La perdita di habitat e le barriere alle rotte migratorie sono responsabili di circa la metà delle minacce alle specie ittiche migratorie monitorate.
Marco Lambertini, Direttore generale del WWF Internazionale, ha commentato: “Ci troviamo di fronte a una doppia emergenza: il cambiamento climatico provocato dall’uomo e la perdita di biodiversità, che minacciano il benessere delle generazioni attuali e future. Il WWF è estremamente preoccupato da questi nuovi dati che mostrano un calo devastante delle popolazioni di fauna selvatica, in particolare nelle regioni tropicali che ospitano alcune delle aree più ricche di biodiversità al mondo”.
I leader mondiali si riuniranno a dicembre alla 15a Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD COP15), un’occasione unica per correggere la rotta per il bene delle persone e del pianeta. Il WWF chiede ai leader di impegnarsi per un accordo in “stile Parigi” in grado di invertire la perdita di biodiversità per garantire un mondo nature-positive entro il 2030.
“Alla conferenza sulla biodiversità COP15 di dicembre, i leader avranno l’opportunità di reimpostare il nostro rapporto con il mondo naturale e di offrire un futuro più sano e sostenibile per tutti, con un ambizioso accordo sulla biodiversità globale che sia nature-positive– ha aggiunto Lambertini-. Di fronte all’aggravarsi della crisi della natura, è essenziale che questo accordo preveda un’azione immediata sul campo, anche attraverso la trasformazione dei settori che causano la perdita di natura, e il sostegno finanziario ai Paesi in via di sviluppo”.
Fra le popolazioni di specie monitorate nell’LPI ci sono i delfini rosa di fiume dell’Amazzonia, le cui popolazioni sono crollate del 65% tra il 1994 e il 2016 nella Riserva di sviluppo sostenibile di Mamirauá, nello stato brasiliano di Amazonas; i gorilla di pianura orientale, il cui numero ha subito un declino stimato dell’80% nel Parco nazionale di Kahuzi-Biega della Repubblica Democratica del Congo tra il 1994 e il 2019; e i cuccioli di leone marino dell’Australia meridionale e occidentale, il cui numero è calato di due terzi tra il 1977 e il 2019.
Andrew Terry, Direttore Conservazione e Politiche dello ZSL, ha dichiarato: “Il Living Planet Index evidenzia come abbiamo distrutto le fondamenta stesse della vita e la situazione continua a peggiorare. Metà dell’economia globale e miliardi di persone dipendono direttamente dalla natura. Prevenire un’ulteriore perdita di biodiversità e ripristinare gli ecosistemi vitali deve essere in cima alle agende globali per affrontare la crescente crisi climatica, ambientale e di salute pubblica”.
Secondo il Living Planet Report le principali cause del declino delle popolazioni di fauna selvatica sono i cambiamenti nell’uso del suolo e del mare, lo sfruttamento eccessivo di piante e animali, il cambiamento climatico, l’inquinamento e le specie aliene invasive, le minacce provenienti da agricoltura, caccia e bracconaggio, e deforestazione sono particolarmente gravi ai tropici; mentre hotspot di inquinamento sono particolarmente importanti in Europa. Inoltre a meno che non limitiamo il riscaldamento globale a meno di 2°C, o preferibilmente 1,5°C, è probabile che il cambiamento climatico diventi la causa principale della perdita di biodiversità e del degrado degli ecosistemi nei prossimi decenni.
Il rapporto sulla salute mondiale del pianeta chiarisce che non sarà possibile realizzare un futuro nature-positive senza riconoscere e rispettare i diritti, la governance e la leadership nella conservazione dei Popoli Indigeni e delle comunità locali in tutto il mondo.
Luciano Di Tizio, presidente del WWF Italia: “I dati del Living Planet Report sono l’ennesimo, drammatico allarme del pessimo stato di salute della biodiversità globale e confermano che il tempo a nostra disposizione per invertire la curva dell’emorragia di natura che contraddistingue la nostra epoca è ormai agli sgoccioli. Senza un cambiamento strutturale nelle nostre politiche, economie, abitudini quasi nessuno degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU (SDGs) potrà essere raggiunto. Per invertire la perdita di natura e garantire un futuro più sicuro e sano per tutti è indispensabile dimezzare l’impronta globale di produzione e consumo entro il 2030. Abbiamo bisogno di trasformare radicalmente la nostra cultura e la nostra società. In Italia il WWF ha avanzato proposte concrete che ci auguriamo che il Parlamento che si insedia oggi e il governo che seguirà mettano al centro dell’agenda: entro un anno serve una legge sul clima, una per contrastare il consumo del suolo ed un Codice della Natura per razionalizzare tutte le norme a tutela della nostra biodiversità”.
Il rapporto indica che aumentando gli sforzi di conservazione e ripristino, producendo e consumando, in particolare il cibo, in modo più sostenibile e decarbonizzando rapidamente e profondamente tutti i settori sarà possibile mitigare la doppia crisi di clima e natura. Il WWF invita i politici a impegnarsi per trasformare le economie in modo da dare il giusto valore alle risorse naturali.