ROMA – Per quantificare l’esposizione al rischio tsunami che grava sulle coste del Mediterraneo, negli ultimi anni un team internazionale di ricercatori ha realizzato il primo Modello di pericolosità da tsunami generati da terremoti per l’intera area NEAM (Oceano Atlantico nord-orientale, Mar Mediterraneo e mari connessi fino al Mar Nero), denominato NEAMTHM18 (NEAM Tsunami Hazard Model 2018).
Questo modello è frutto del Progetto Europeo TSUMAPS-NEAM, coordinato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e finanziato dalla Protezione Civile Europea (DG-ECHO).
NEAMTHM18 è di particolare interesse per l’Italia poiché è stato utilizzato come base per la pianificazione di protezione civile sulle nostre coste, nonché per la gestione dell’evacuazione della popolazione in risposta ad una eventuale allerta tsunami diramata dal SiAM, il Sistema di Allertamento nazionale per i Maremoti generati da eventi sismici cui è parte il Centro Allerta Tsunami dell’INGV (CAT-INGV).
Infatti, lo scorso 18 marzo al largo della Sardegna e delle Isole Baleari si è rilevato uno tsunami di modeste dimensioni, conseguenza del terremoto di magnitudo 6.2 registrato dalla Rete Sismica Nazionale dell’INGV al largo delle coste dell’Algeria.
Questo tsunami, tra l’altro, non è stato l’unico verificatosi nell’area del Mediterraneo. Solo pochi mesi prima, il 30 ottobre 2020, un terremoto di magnitudo 7.0 con epicentro a Samos in Grecia, ha provocato uno tsunami a Samos e Smirne causando danni sia in Grecia che in Turchia dove, oltretutto, si è registrata una vittima proprio a causa del maremoto.
“Nel modello NEAMTHM18, il calcolo della pericolosità da tsunami per le coste oggetto dello studio è stato strutturato in quattro fasi: lo sviluppo del modello probabilistico sul verificarsi di un terremoto; la simulazione numerica della generazione e propagazione delle onde di tsunami in mare aperto; la modellazione statistica della probabilità di inondazione delle coste analizzate; l’aggregazione dei diversi stadi finalizzata alla quantificazione delle curve di pericolosità”, spiega Roberto Basili, coordinatore del progetto TSUMAPS-NEAM per l’INGV e primo autore dell’articolo pubblicato sulla rivista scientifica ‘Frontiers’.
Le curve di pericolosità forniscono una stima della probabilità che uno tsunami di diverse altezze colpisca in futuro le coste dell’area NEAM. Il modello viene presentato esprimendo anche l’incertezza che caratterizza queste stime di pericolosità, con una sorta di “barra di errore” per ognuno dei valori di probabilità stimati.
“Va ricordato, infatti, che i valori di pericolosità riportati nel modello NEAMTHM18 sono stati quantificati mediante una tecnica di modellazione che ha tenuto conto anche di dati e approcci fra loro alternativi, seguendo un processo decisionale strutturato basato su un protocollo che ha permesso di integrare in maniera trasparente i pareri di esperti di differenti discipline, che sono l’espressione di limitazioni dei dati disponibili e di opinioni diverse nell’ambito della comunità scientifica”, aggiunge Basili. “Il modello fornisce dunque una ‘famiglia’ di curve di pericolosità rappresentata dal valore medio e dai vari percentili della cosiddetta ‘incertezza epistemica’, ovvero legata al nostro livello di conoscenza del fenomeno in questione”.
“Le scelte effettuate dal DPC per formulare le indicazioni per la pianificazione costiera hanno tenuto conto di queste incertezze e introdotto di conseguenza dei ‘fattori di sicurezza’”, prosegue il ricercatore. “Inoltre, come riferimento per la pianificazione, sono stati identificati, come già fatto dalla Nuova Zelanda, gli eventi con tempo di ritorno medio di 2.500 anni. Questa scelta riflette il fatto che gli tsunami sono eventi relativamente rari ma con la capacità di causare gravi conseguenze. È da notare che questo tempo di ritorno medio è maggiore di quello di 475 anni considerato dalla normativa sismica, che è riferita a eventi più frequenti”.
Nella definizione e nel calcolo delle curve di pericolosità sono stati presi in esame 2.343 punti di interesse distribuiti lungo le coste del NEAM a una distanza media di circa 20 chilometri l’uno dall’altro. A partire da queste curve, si possono realizzare mappe di probabilità per diversi livelli di altezza massima di inondazione e mappe di pericolosità relative al periodo di ritorno medio del maremoto. Alcuni esempi, insieme alla necessaria documentazione, sono riportati nel sito web del modello e sono consultabili attraverso uno strumento interattivo dedicato.
Dall’analisi delle curve di pericolosità emerge che nell’area NEAM sono possibili valori dell’inondazione di alcuni metri. “In particolare, nel 37% dei punti in cui è stata calcolata la pericolosità nel Mar Mediterraneo potrebbe verificarsi, mediamente ogni 2.500 anni, un evento che supera un’altezza di inondazione di un metro. I punti dove si potrebbero avere più frequentemente altezze anche maggiori si trovano sulle coste libiche, egiziane, cipriote e greche, nonché sulle coste italiane del Mar Ionio. Nell’Atlantico nord-orientale, i punti caratterizzati da una pericolosità relativamente elevata si trovano sulle coste della Mauritania e del Golfo di Cadice. Nell’intera area NEAM, quindi considerando anche le coste del Mar Nero e dell’Oceano Atlantico, le aree in cui si possono avere, nello stesso intervallo di tempo, altezze dell’inondazione superiori a un metro corrispondono al 30% dei punti analizzati”, conclude Basili.
Il modello NEAMTHM18 rappresenta dunque un primo importante passo per avviare valutazioni locali più dettagliate della pericolosità e dei conseguenti rischi da inondazioni generate da tsunami nell’area NEAM, essendosi già posto come punto di partenza per contribuire alla progettazione di mappe di evacuazione per il sistema di allertamento nazionale per i maremoti.