MILANO – L’emergenza sanitaria ha minato le certezze degli italiani sul lavoro e oggi ben il 43% dei lavoratori teme di perdere il posto o non si sente sicuro del proprio impiego (era il 36% un anno fa), la percentuale più alta tra i principali paesi europei come Regno Unito (39%), Spagna (39%), Francia (31%) e Germania (30%). Nell’incertezza cresce l’attaccamento all’impiego attuale: il 72% degli italiani si dice soddisfatto del proprio lavoro, +3% rispetto a dodici mesi fa, mentre scende la percentuale di insoddisfatti (dal 10% al 6%) e solo il 9% sta cercando attivamente una nuova posizione (contro il 12% di fine 2019). Cala di dieci punti (dal 58% al 48%) l’ambizione di avviare un’attività, al penultimo posto davanti solo ai francesi (38%) e dopo inglesi (54%), spagnoli (51%), e tedeschi (50%).
Segnali di aumento delle preoccupazioni, che emergono anche in prospettiva. Pur di conservare il lavoro, se fosse necessario una parte non trascurabile degli italiani sarebbe disposta ad accettare qualche compromesso, come una riassegnazione di ruolo all’interno dell’azienda (29%), la cassa integrazione o una riduzione dell’orario di lavoro (21%), oppure un aumento dell’orario con lo stesso stipendio (17%), la perdita di benefit (15%), un contratto a termine (10%) o un taglio dello stipendio (8%).
E tra gli obiettivi per il lavoro post pandemia, prima di tutto i lavoratori mettono la protezione dello stipendio, indicata dal 54%, seguita dal rafforzamento delle politiche per la salute e dei protocolli di sicurezza sanitaria (41%) e dalla comunicazione trasparente (39%), poi la partecipazione a corsi di formazione, la disponibilità di un’assicurazione sanitaria, maggiore sicurezza. L’ambiente di lavoro ideale post pandemia per tre italiani su quattro deve essere “flessibile”, con la possibilità di lavorare sia da casa sia in ufficio (indicata dal 48% dei lavoratori) oppure con autonomia e flessibilità di scelta di luogo o orario di lavoro (26%), mentre solo l’11% vorrebbe lavorare sempre nella propria abitazione e il 15% sempre in ufficio.
È quanto emerge del Randstad Workmonitor, l’indagine semestrale sul mondo del lavoro di Randstad, primo operatore mondiale nei servizi HR, che ha analizzato la capacità di adattamento dei lavoratori all’emergenza Covid19 e la loro percezione sul mercato del lavoro post pandemico. La ricerca è stata condotta a fine 2020 in 34 Paesi del mondo su un campione di oltre 800 lavoratori di età compresa fra 18 e 67 anni per ogni nazione.
“L’emergenza sanitaria ha aumentando la sensazione di insicurezza dei lavoratori: è comprensibile che in un momento di incertezza cresca l’attenzione alla tutela del posto e della retribuzione, ma la ricerca evidenzia anche la richiesta degli italiani di formazione e di flessibilità, certamente alimentata dall’esperienza dello smart working – afferma Marco Ceresa, AD di Randstad Italia -. Un segnale del fatto che i lavoratori stanno affrontando i cambiamenti imposti dalla crisi con la giusta mentalità e capacità di adattamento. Le imprese devono impegnarsi per accogliere queste richieste e mettere i propri dipendenti nelle condizioni di esprimere tutto il potenziale”.
Le aspettative post Covid
Le principali aspettative dei lavoratori per il post pandemia sono la protezione dello stipendio, indicata dal 54% del campione, le politiche di salute e protocolli di sicurezza (41%), la comunicazione trasparente (39%), i corsi di formazione (36%) e l’assicurazione sanitaria (32%). Seguono la maggiore sicurezza online e di persona (25%), la collaborazione all’interno del team (24%), le attrezzature e le tecnologie per poter lavorare da remoto (24%), le sicurezze lavorative (22%), i programmi di assistenza ai dipendenti come il supporto psicologico (21%, -1%), le risorse per i dipendenti (ad esempio il gruppo genitoriale, 15%).
Emergono però sensibili differenze per genere e per età. Per gli uomini, oltre alla protezione dello stipendio, sono importanti soprattutto la comunicazione trasparente e i corsi di formazione, mentre per le donne sono prioritarie le politiche per la salute, l’assistenza anche psicologica, la collaborazione nel team e le risorse come i gruppi genitoriali per dipendenti. Per i più giovani è fondamentale la formazione, mentre i senior si concentrano sulle politiche per la salute e guardano alle sicurezze lavorative con molto più interesse.
Indici trimestrali
Mobilità
L’indice di mobilità lavorativa negli ultimi sei mesi è pari al 23%, lo stesso livello di dodici mesi fa, senza differenze rilevanti per genere e area di residenza e con punte del 42% fra i 18-24enni.
Cambio di lavoro
Nei prossimi sei mesi il 29% del campione prevede di fare lo stesso lavoro presso un’altra società, un altro 29% cambierà lavoro all’interno della stessa azienda e il 22% svolgerà un’altra mansione in un’altra impresa. Le principali ragioni che spingono i lavoratori a cambiare sono le migliori condizioni di lavoro (35%), l’insoddisfazione del datore di lavoro (32%) e le ambizioni di crescita nell’attuale mansione (25%).
Ricerca di lavoro
Cala la percentuale di lavoratori che sta attivamente cercando un nuovo lavoro, passando dal 12% al 9%, anche se non manca l’attenzione a nuove opportunità con il 25% che si sta guardando attorno (+3%). Che non sia il momento giusto per fare cambiamenti è testimoniato anche dall’ambizione di iniziare qualcosa di diverso, in calo di dieci punti (dal 58% di un anno fa al 48% attuale)
Soddisfazione del lavoro
Oltre sette italiani su dieci si dichiarano soddisfatti del loro lavoro (72%, +3% sul 2019), soprattutto le donne (74%), i dipendenti sotto i 25 anni (81%) e che lavorano nelle regioni del sud (76%) il 22% non esprime un giudizio né positivo né negativo, mentre solo il 6% è insoddisfatto.
Timore di perdere il lavoro
Nell’ultimo semestre, rispetto alla fine del 2019, è aumentata di tre punti la percentuale di italiani che hanno un chiaro timore di perdere il posto di lavoro (12%), mentre la sensazione generale d’insicurezza (coloro che non hanno molta paura di perdere il posto ma neanche poca) è salita di cinque punti (31%). I segmenti più insicuri sono gli under 35 (circa il 50%) e i lavoratori del sud (uno su due) e del nord est (uno su tre)