MILANO – L’86% dei neodiplomati IED ha trovato un impiego creativo nelle aree del Design, della Moda, delle Arti Visive e della Comunicazione ad un anno dalla conclusione degli studi. Non solo opportunità di stage: il 18% di essi ha guadagnato già nel primo semestre dopo il diploma un vero e proprio contratto di lavoro (dato relativo nello specifico alla sede IED Milano).
Parte da questo spaccato lo studio sui giovani al lavoro nelle professioni creative che l’Istituto Europeo di Design, attraverso il suo Career Service, ha svolto e divulgato in occasione dei Job Future Days di fine maggio: tre giorni di tavole rotonde sullo stato e sul futuro delle professioni creative, che ha coinvolto 800 studenti dalle sette sedi italiane davanti a 23 relatori, provenienti da 12 tra aziende e studi professionali parte dell’ampio network del mondo produttivo che ruota attorno a IED, come da suo DNA.
Ma in che settori lavorano i neodiplomati nelle discipline creative? Nel 2019, di fianco a quelli più “attesi” (i più rappresentati sono naturalmente design, fashion & luxury, advertising, comunicazione e marketing, entertainment, new media), a “stupire” è la rilevazione di impiego anche in settori meno consueti per un professionista della creatività. Un 2,1% dei diplomati Triennali lavora nell’area Pharma & Healthcare, dato che racconta di come le aziende abbiano bisogno di maggiore contaminazione a livello di processo progettuale, per inserirsi in un mondo sempre più fluido con una metodologia di pensiero creativo. Per i diplomati Master sorprende invece un 11,6% impiegato nel comparto ICT – Information and Communication Technology, dato in crescita che sottolinea l’aumento della richiesta anche in un’area molto tecnica come quella della trasmissione ed elaborazione di dati e informazioni, segno che la metodologia didattica del saper fare si adatta perfettamente anche all’approccio di materie più analitiche.
“La ‘creatività’ oggi si estende e contamina tutti i settori aziendali insieme alla sua metodologia, il Design Thinking, dall’applicazione quanto mai trasversale- commenta Clelia Bergna, Responsabile Career Service e Coordinamento Career IED Italia. Anche quest’anno possiamo vantare un tasso di occupazione davvero rilevante, ad un anno dal conseguimento del diploma, con un incremento tra l’altro dell’11% sul tasso di inserimento in stage degli studenti richiedenti a gennaio 2020 rispetto all’anno precedente. Siamo convinti che il forte legame con il mondo produttivo e la preparazione che offriamo ai nostri studenti per diventare i professionisti del domani siano il punto di forza del Career Service”.
Le tendenze
Riguardo al prossimo futuro lavorativo, indirizzato e “deviato” dalla crisi Coronavirus, emerge per forza di cose l’accelerazione massiccia sulle alternative al lavoro in presenza fisica e l’implementazione delle attività da remoto: se da un lato ciò porta a una maggiore rilevanza delle capacità “umane” e dello spirito di adattamento nei candidati (incluso lo “spogliarsi del superfluo”), dall’altro profila all’orizzonte nuovi processi tecnologici, come l’automazione nella selezione, sfruttando l’intelligenza artificiale anche nell’ambito HR, come fa notare Francesco Cara, designer, curatore e ambientalista. Si profila “una nuova generazione di piattaforme per la ricerca del personale, per l’onboarding, per lo sviluppo e per la gestione della carriera, che arricchiscono automaticamente i profili dei candidati sulla base di informazioni professionali disponibili sul web e che creano una prima shortlist tra gli aspiranti”.
Anche per Raffaele Putortì, Head of Procurement, Partnership & Product Development presso PromotionTag, la strada aperta al lavoro agile prosegue di pari passo con l’investimento tecnologico: “Prima dell’emergenza Covid-19 era in atto il management empowerment, ossia il cercare di rendere il più possibile autonomi i manager (attraverso investimenti in tecnologia) anche nella gestione delle risorse umane. Ciò proseguirà nel mondo che ci ritroveremo ad affrontare nei prossimi mesi e non solo, perché è sempre più importante essere attenenti a standardizzazione e semplificazione, due processi fondamentali per le HR. Il mondo si è abituato anche in Italia a lavorare di più da remoto e questo trend continuerà”.
“Rispetto al passato, in cui i brand avevano orientato la loro attenzione al servizio ai clienti coinvolgendo il cliente stesso nell’esperienza d’acquisto (con grande valorizzazione di tutti gli aspetti creativi ed evidenziandone anche i relativi mestieri), dopo questa crisi il trend sarà maggiormente focalizzato sui talenti che possono crescere all’interno delle realtà, rispecchiando così l’esigenza forte di creare un backup generazionale – afferma invece Enza Stagni, Head of Luxury Division di Eurosearch Consultants.
“Il trend sarà quello di concentrassi sempre di più sull’oggetto da deliverare, quindi più qualitativo che quantitativo. Il cliente chiede consulenza, vuol sentirsi raccontare da noi delle cose che non sa. Questo va declinato considerando che alla base c’è sempre una strategia di comunicazione e un brand che va difeso e fatto crescere”, è convinta Nicoletta Levi, Chief Operating Officer & Director dell’agenzia creativa TBWA.
Ma, tutti i lavori creativi possono essere svolti da remoto? I pareri sono piuttosto concordi sul si, ma non sul lunghissimo termine e con alcuni distinguo. “Se abbiamo visto che la parte di relazione, gli incontri, si possono svolgere tranquillamente via web a distanza, non vedo perché l’attività di creazione e concertazione non possa farlo. L’importante è non chiudersi in casa, il creativo deve vivere il mondo, uscendo, per scoprire e allargare i propri orizzonti,” prosegue ancora Levi. Più scettico il product designer Fabio Verdelli, titolare dell’omonimo studio: “Nel nostro mestiere è cruciale toccare con mano le cose che si stanno facendo. Lo sviluppo di un prodotto è una esperienza multisensoriale. A livello strategico inoltre, va considerato che il progetto è in ultima analisi un percorso di dialogo e di convincimento di qualcun altro. Il lavoro è sempre una forma di collaborazione, diversamente da quanto accadeva all’artista rinascimentale, e non riesco a immaginarlo in completa assenza”.
Nel settore dell’artigianalità e della sartorialità è particolarmente difficile portare tutto in remoto, se non gli aspetti più organizzativi, come fa notare Gianni Giannini, proprietario e direttore creativo della calzaturiera Doucal’s: “Comunicare certi valori del made in Italy solo attraverso uno schermo è quasi impossibile. Esprimerne lo stile, la leggerezza, la morbidezza, implica necessariamente la restituzione di una sensazione tattile”.
“Una buona parte operativa da remoto è possibile, ma poi il team ha bisogno di viversi quotidianamente, relazionarsi con altre persone della stessa squadra ma di divisioni diverse – aggiunge Giovanni Alaia, Head of Digital di Trident Music.- È necessario condividere quello che si sta facendo con continuità, scambiarsi sensazioni che il monitor scherma e non riesce a fare arrivare. Non credo quindi che tutti i lavori creativi possano diventare 100% smart, come i concerti non possono diventare flussi di streaming”.
“Se in molti casi si assiste a una dematerializzazione e semplificazione dei processi, con la nascita di nuove esigenze e dunque di nuove professionalità, l’elemento umano resta comunque imprescindibile, soprattutto nel retail, dove il valore della conoscenze, della consulenza e del contatto non potrà mai essere sostituito del tutto”, aggiunge Giulio Scolaro, HR Specialist di Stroili Oro.
“In remoto, però, non significa necessariamente smart – ammonisce Francesco Cara -. Abbiamo ancora tanto da imparare affinché ciò accada”.
Il candidato ideale? Tanta “umanità”, più che tecnica
“Privilegiamo chi sappia recepire le tendenze attuali, interpretarle e tradurle nei valori del brand. Quindi forte ricettività, curiosità, attitudine al cambiamento, ottime doti relazionali e spirito di squadra”, prosegue Giulio Scolaro, a proposito dei requisiti più ricercati; ma contano anche le “capacità empatiche, la sensibilità verso le persone e il progetto, oltre che il potenziale di crescita e la capacità di gestire la complessità”, gli fa eco Antonio Facco fondatore dell’omonimo studio di Design e alumnus IED.
Ora più che mai emerge dal mercato, in via generale, la conferma dell’importanza delle soft skill, curiosità e capacità di adattamento in primis, ma anche gestione dell’emergenza.
È necessaria una curiosità “disperata, inestinta e trasversale a tutti gli ambiti del sapere umano, a ciò che succede quotidianamente” trova Fabio Verdelli, che aggiunge la qualità della sensibilità, intesa come il “riuscire a distinguere differenze molto piccole tra le cose, che magari gli altri non hanno nemmeno il sospetto che esistano. Come un pittore che sta guardando un albero e nella sua chioma riesce a vedere tantissimi livelli diversi di verde”.
“Importante è anche sondare come un candidato sia riuscito a superare situazioni difficili- è il parere di Fabrizio Bernasconi, Senior Partner & Managing director di RBA Design – oltre che la capacità di pensiero, di arrivare a un determinato output creativo attraverso il ragionamento. Contano poi gli interessi extra lavoro e, non da ultima, l’artisticità, il senso del bello, l’avere un gusto”.
Interessante notare come, per testare queste attitudini, alcuni brand mettano in campo delle vere e proprie challenge sotto forma di hackathon o ricorrendo alla gamification, come fa notare Matteo Bono, Talent Acquisition Manager per Davines: “già da qualche tempo utilizziamo strumenti che permettono un’interlocuzione con strumenti interattivi, che riesce a far emergere aspetti del carattere delle persone che magari in un colloquio tradizionale non vengono fuori”.
Un grande ruolo nella fase di test delle competenze è giocato anche dalla presenza di rappresentanti aziendali nelle aule (in qualità di docenti o di committenti di progetti di tesi o di progetti speciali): ciò prevede quindi la possibilità di testare in maniera diretta il talento e la validità della metodologia didattica, per poi valutare una possibilità di impiego. Alcune delle aziende in cui gli studenti iniziano il loro percorso dopo il diploma sono le stesse infatti che partecipano alle progettazioni didattiche IED, offrendo l’opportunità agli studenti di immergersi e “allenarsi” su casi reali
I canali di ricerca: la forza della rete
I rappresentanti aziendali interpellati da IED sullo stato del lavoro nelle professioni creative sono tutti d’accordo sulla particolare rilevanza della multicanalità nell’entrare in contatto con i candidati, in grado (attraverso i diversi social network) di rivelare diversi aspetti della loro personalità. Una multicanalità che include anche la rete di contatti, il consiglio personale, il passaparola tra manager nella segnalazione dei candidati e che non esclude affatto la centralità del momento “colloquio”, pur con altri strumenti informativi a corredo. “Credo che ciò che è cambiato molto negli ultimi anni siano le modalità di scouting. Le richieste non devono arrivare soltanto dall’esterno all’interno, ma gli studi e le aziende stesse devono essere attive nella ricerca di risorse interessanti”, aggiunge Antonio Facco.
Anche i dati di placement IED segnalano la forza della rete aziendale e professionale che ruota attorno a una scuola del “saper fare” nel trovare direttamente lavoro: a fronte di azioni efficaci da parte del Career Service nel collocamento dei neodiplomati, infatti, ben il 28% delle esperienze post-diploma proviene da contatti che lo studente attiva direttamente con i brand durante la didattica, oppure da proposte di lavoro dirette della faculty.