• Il Bacino Mediterraneo conta 500 milioni di persone e vale $3.500 miliardi di flussi commerciali.
• 51 miliardi di euro: sono gli scambi commerciali tra Italia e Paesi extra UE del Mediterraneo, pari al 5,8% del commercio estero
• Scambi commerciali Italia-Mediterraneo: Algeria €9,9 miliardi, Tunisia €6 miliardi e Marocco €3 miliardi.
Questi alcuni dei dati emersi oggi all’interno dell’incontro “I giorni del Sud” organizzato a Napoli dalla Fondazione per la Sussidiarietà, l’Unione Industriali di Napoli e Confindustria Caserta, con la collaborazione dell’Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà e PwC.
Oggi, le relazioni commerciali coi Paesi extra-europei dell’area mediterranea valgono per l’Italia oltre 51 miliardi di euro cioè il 5,8% del totale del commercio estero del nostro Paese.
In particolare, sfiorano i 10 miliardi gli scambi con l’Algeria (derivanti in maniera preponderante dal settore energetico) 6 miliardi quelli con la Tunisia (sui quali pesano il settore energetico e quello tessile).
I rapporti con il Marocco valgono circa 3 miliardi di euro, derivanti in massima parte dalla produzione industriale nella Zona Franca del porto di Tangeri (conosciuta col nome di Tanger-Med), verso la quale l’Italia esporta macchinari e dalla quale importa autovetture. Proprio questa caratteristica dell’area portuale marocchina può far riflettere circa l’utilità dell’adozione, anche nel nostro paese, di aree a fiscalità agevolata (quali ad esempio le ZES, cui l’Ufficio Studi PwC ha dedicato una pubblicazione) per la realizzazione di hub infrastrutturali.
“Una maggiore proiezione dell’Italia verso il Mare Nostrum – spiega Andrea Toselli Presidente e AD PwC Italia- permetterebbe di trarre valore da legami che oggi esistono, ma non sono adeguatamente valorizzate. Un rinnovato impegno nello stimolare gli scambi, può rappresentare la chiave di volta per il rilancio del tessuto industriale e produttivo del Mezzogiorno, che potrebbe trovare sia ampi mercati di sbocco per i propri prodotti, sia partners con i quali sviluppare filiere internazionali che valorizzino le specificità di ogni regione del sud Italia”.
Il progetto di trasformazione del Mezzogiorno in hub trova presupposti di realizzazione nella strategia infrastrutturale già adottata dalla UE. Il progetto della rete TEN-T (Trans European Network-Transport) prevede infatti la costruzione, entro il 2030, di 9 corridoi transnazionali multimodali (ferro, strada, vie navigabili), per un totale di 39.969 chilometri di infrastrutture che connetteranno l’intero continente.
In particolare, il cosiddetto Corridoio Scandinavo–Mediterraneo metterà il Sud Italia nelle condizioni di avere collegamenti rapidi ed efficienti con i mercati del Nord Europa
Il raddoppio del Canale di Suez da un lato e i progetti della “Nuova via della Seta” dall’altro stanno potenzialmente conferendo al Mezzogiorno una rinnovata centralità poiché esso si ritrova oggi ad essere non solo la destinazione delle merci asiatiche dirette in Europa via mare, ma anche un importante crocevia.
La prima carenza da affrontare è di carattere infrastrutturale e logistico. Pur essendo un Paese votato all’export, l’Italia è in ritardo rispetto alle grandi economie europee su questo tema, tanto che il Logistic Performance Index della Banca Mondiale pone l’Italia solo al 19° posto, dietro alla Francia (16°) e lontana da Germania (1°), Belgio (3°) e Olanda (6°).
La seconda è la formazione. La capacità di internazionalizzazione di un’azienda dipende infatti in maniera preponderante dalle competenze del capitale umano cui essa può attingere. Il mezzogiorno mostra dati negativi a riguardo, sia per i percorsi scolastici dei giovani, sia soprattutto per l’accesso alle opportunità di formazione professionale dei lavoratori. Il tasso di adulti che partecipa a un percorso di apprendimento permanente è più basso del 34% rispetto a quanto registrato nelle regioni del Nord. Senza investimenti per formare le competenze dei lavoratori e delle aziende del Mezzogiorno, sarà allora molto difficile trasformare il Sud Italia in un hub internazionale e quindi dare all’Italia il ruolo che le spetta.
La terza carenza riguarda l’innovazione. L’apertura di nuovi flussi commerciali, infatti, avvantaggerà principalmente le aziende in grado di offrire prodotti e servizi ad alto valore aggiunto, i quali non possono prescindere dall’adozione di tecnologie all’avanguardia. Le aziende non pronte rischieranno di godere marginalmente di tali benefici se non addirittura di soffrire una più elevata pressione competitiva internazionale.
Il Mezzogiorno è in ritardo sul tema dell’innovazione: nel corso dell’ultimo triennio di rilevazione Istat, solo il 26,3% delle aziende con più di 10 addetti ha adottato innovazioni tecnologiche (di prodotto o di processo) nel Mezzogiorno, mentre nelle Regioni del Nord la stessa quota si è attestata al 40%.
Il rapporto Svimez 2019 segnala, ad esempio, che il sistema Universitario del mezzogiorno ha punte di eccellenza come dimostrano le Academy sull’innovazione insediate a Napoli da Cisco ed Apple in seno alla “Federico II”.
Politiche volte a colmare i ritardi descritti, valorizzando le eccellenze già presenti, permetterebbero un’accelerazione dell’economia del Mezzogiorno che avrebbe un impatto positivo sull’intero Paese. Nelle regioni del Mezzogiorno vivono infatti più di 20 milioni di persone (cioè il 34% del totale della popolazione italiana), che consumano una quota rilevante dei prodotti e dei servizi prodotti anche nel Centro-Nord della penisola. Svimez stima che la domanda interna del Mezzogiorno dia luogo a una produzione capace di contribuire a circa il 14% del PIL del Centro-Nord.
“Le nuove opportunità che si aprono potranno essere colte – conclude Toselli – solo se il nostro sistema Paese sarà in grado di investire per colmare le carenze che pesano sul Mezzogiorno, generando un ormai storico gap di competitività rispetto alle regioni più a nord siano esse italiane o europee”.