ROMA – “L’invecchiamento record della popolazione italiana e l’esperienza del Covid, con le migliaia di anziani che hanno perso la vita molto spesso a causa di comorbilità accertate, devono spingere il decisore politico ad una rimodulazione delle risorse del numero di posti letto di Geriatria per acuti negli ospedali italiani ma anche far emergere l’esigenza di competenze geriatriche anche in discipline diverse promuovendo il metodo della Valutazione e Gestione Multidimensionale Geriatrica“. È questo, in sintesi, il messaggio lanciato dai professori Lorenzo Palleschi (Direttore Unità Operativa Complessa di Geriatria dell’Azienda Ospedaliera San Giovanni-Addolorata, Roma) e Francesco Vetta (Direttore Unità Operativa Complessa di Cardiologia e Aritmologia, IDI-IRCSS), direttori scientifici del XV congresso di Cardiogeriatria che si è tenuto il 27 e 28 ottobre a Roma. L’iniziativa ha avuto il patrocinio di SICGE (Società Italiana Cardiologia Geriatrica), SIGOT (Società Italiana di Geriatria Ospedale e Territorio), OMCEO (Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Roma), dell’Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata, dell’IDI-IRCCS (Istituto Dermopatico dell’Immacolata) e dell’AIAC (Associazione Italiana di Aritmologia e Cardiostimolazione).
“Nel fare gli auguri al neo ministro della Salute, professor Orazio Schillaci, intendiamo rivolgere un appello – hanno rimarcato – affinché in tempi urgenti si possa rivedere l’organizzazione degli standard ospedalieri attuando quanto già previsto dal decreto n. 70 del 2 Aprile 2015 in maniera omogenea in tutte le Regioni italiane ( una Unità di Geriatria per acuti ogni 400.000-800 mila abitanti) e tener conto auspicabilmente anche del diverso indice di invecchiamento nelle diverse realtà regionali) .
“Durante la pandemia, come riporta una ricerca della Società Italiana di Geriatria Ospedale e Territorio (Sigot), oltre il 75% delle strutture ospedaliere di Geriatria di fatto sono state trasformate in reparti Covid interamente dedicati alla cura dei pazienti colpiti dal virus, con particolare riguardo ai più anziani e fragili, integrando, quindi, l’esperienza intensivistica con la metodologia geriatrica“. Per questo, osservano i due direttori scientifici del congresso, “proponiamo la creazione di Unità di Geriatria ospedaliere per rendere più efficiente la gestione clinica e la delicata transizione ospedale-territorio dell’anziano fragile”.
Fra le proposte emerse dal Congresso anche l’istituzione della figura del Geriatra nel Pronto soccorso: “Contrariamente ad una diffusa percezione, i dati ci dicono che il ricorso al Pronto soccorso da parte degli anziani è quasi sempre clinicamente giustificato e cresce con l’età, dal 10% nella classe di età 40-44 fino al 45% nella classe 95-99. Questa figura potrebbe favorire una più corretta gestione dei percorsi ospedale-territorio, migliorando, con precisi criteri organizzativi, tecnologici e di personale conformi agli standard europei, l’assistenza ai pazienti anziani critici e fragili, che da sempre vengono assistiti nelle Geriatrie ospedaliere italiane“.
I dati. L’Italia, secondo recenti dati dell’Eurostat, è la nazione con la popolazione più vecchia d’Europa, con il 22,8% di over 65, pari a 14 milioni, di cui ben 4 milioni (pari al 6,5% totale) sono over 80. Ancora più rilevante è la prevalenza della sindrome da fragilità nell’anziano che, in accordo ai dati dell’ISS, raggiunge il 9% nella classe di età tra 64 e 75 anni, per balzare al 34% nei soggetti di età superiore ad 85 anni.
Invecchiamento in salute. Chi pratica con regolarità un’attività fisica di intensità moderata per 2,5/5 ore a settimana o vigorosa per 1.15/2.5 ore a settimana o un equivalente combinazione di entrambe, ottiene una riduzione della mortalità cardiovascolare e della mortalità per tutte le cause dell’ordine del 20-30% rispetto ai soggetti che conducono una vita più sedentaria.
“Il movimento – ha spiegato il prof. Palleschi – non solo previene la maggior parte delle malattie cardiovascolari e cronico-degenerative (anche la demenza di Alzheimer, definita per la sua altissima prevalenza la vera epidemia del terzo millennio), ma permette una miglior conservazione dell’efficienza fisica, garantendo così di vivere a lungo in forma e in piena autonomia. Il declino della massa, forza muscolare e capacità motorie che è stato a lungo considerato un corollario ineluttabile dell’invecchiamento, non si osserva, o è molto meno evidente in chi continua a praticare esercizio fisico anche in età matura-anziana: gli anziani over 80 che praticano esercizi di resistenza hanno performance motorie equivalenti alla classe di età 50-54 anni”.
Focus patologie: il caso della fibrillazione atriale. La fibrillazione atriale e l’insufficienza cardiaca rappresentano i principali problemi di salute soprattutto nei soggetti anziani, con una incidenza e prevalenza che tenderà notevolmente ad aumentare nel corso dei prossimi anni in relazione al progressivo invecchiamento della popolazione. Nel caso della fibrillazione atriale l’attuale prevalenza, al disotto del 2% tenderà quasi a raddoppiare entro il 2050. Ma il dato di maggior preoccupazione riguarda la popolazione anziana, con una prevalenza superiore al 15% nei soggetti con età sopra gli 85 anni.
“Il rischio maggiore della fibrillazione atriale è rappresentato da eventi ischemici cerebrali o sistemici. Il rischio di ischemia cerebrale è aumentato, infatti, di 5 volte rispetto alla popolazione generale. Il ruolo di prevenzione della terapia anticoagulante, che riduce di circa il 67% tale rischio è ampiamente definito dai dati della letteratura, eppure, ancora oggi, una percentuale elevata di soggetti anziani sono ingiustificatamente esclusi da tale terapia, per timori, molto spesso anacronistici, perché ridimensionati nei trial randomizzati mirati”, ha sottolineato il prof. Vetta.
“Frequentemente la fibrillazione atriale si associa all’insufficienza cardiaca: tale binomio condiziona una prognosi peggiore. L’aspettativa di vita media in un paziente con diagnosi di insufficienza cardiaca è piuttosto bassa: circa il 50% dei pazienti con tale patologia muore entro 5 anni dalla diagnosi. Si consideri che tra i pazienti che si ricoverano per insufficienza cardiaca, circa il 10% muore durante il ricovero, il 30% entro un anno e circa il 25% è costretto ad un nuovo ricovero entro un mese dalla dimissione”.