MILANO – Nell’ambito delle misure adottate dal Governo per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 (coronavirus), il Presidente del Consiglio dei ministri ha emanato il 1° marzo 2020 un nuovo Decreto che interviene sulle modalità di accesso allo smart working, confermate anche dal Decreto del 4 marzo 2020. Come indicato nel DPCM dell’11 marzo 2020, si raccomanda venga attuato il massimo utilizzo, da parte delle imprese, di modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza. Lo smart working è lo strumento utile alle aziende che necessitano di garantire operatività e continuità quando le risorse sono impossibilitate a recarsi sul posto di lavoro, in questo particolare periodo storico tutte le aziende che hanno tale possibilità, hanno invitato i propri dipendenti ad usufruire di questa modalità di lavoro agile. Tuttavia questa porta con sé diverse insidie, a partire dalla difficoltà di pronto intervento sui processi, soprattutto in quelli per cui sono richieste una costante supervisione ed un intervento su diversi sistemi all’interno di un’organizzazione.
Serve quindi dotarsi di capacità “just-in-time” di risposta ai problemi, ma soprattutto serve adottare strategie che possano prevenire perdita di informazioni ed interruzioni di processo. Infatti, se da una parte il lavoro agile ha evitato la chiusura di molte imprese, dall’altro il ricorso emergenziale e l’approccio improvvisato potrebbero esporre a numerosi rischi le aziende sia sotto il profilo della gestione delle catene produttive che della sicurezza informatica, che del rispetto della protezione dei dati personali. Tuttavia potrebbe trattarsi di un’evoluzione con una portata tale da avere riflessi sul sistema socioeconomico, in cui l’efficienza operativa e la tutela della riservatezza è indispensabile.
Quali sono quindi strumenti necessari di cui le aziende dovrebbero dotarsi per far fronte a tali esigenze? «Le aziende dovrebbero puntare su strumenti di Data Quality ed Automation – spiega Annamaria Gerace, Team Leader Fraud & Crime per la BU Digital Trust di Soft Strategy-. La qualità del dato è fondamentale: se le aziende riescono a mitigare la presenza di errori sui dati processati, diminuisce la probabilità di riscontrare errori in tutta la catena produttiva di elaborazione degli stessi, evitando in tal modo la necessità di intervento umano dovuto al ripristino, ad esempio, di un monitoraggio, di un processo distributivo o per la verifica della conformità dei dati elaborati.
Possiamo esemplificare questo approccio strategico?
«Riporto ad esempio i processi di compliance ed antifrode – continua Gerace – che devono rispettare la segnalazione secondo termini di legge di alcune informazioni che devono essere corrette e verificate.
Inoltre, una buona qualità dei dati evita di dover eseguire elaborazioni e lunghe fasi di analisi sui risultati, permettendo di riconoscere facilmente dove vi siano ambiguità e necessità di cambiare una o più regole di aggregazione o di alerting perché poco efficienti.
Allo stesso modo tutte le aziende che non lo hanno ancora previsto, dovrebbero investire, ove possibile, in Automation, soprattutto nelle fasi che prevedono l’interazione con diversi sistemi interni ed esterni alle organizzazioni: si evita così ulteriore movimento dei dati dovuto all’accesso da postazioni di smart working. Si ottiene il risultato finale di una velocizzazione di interi processi e notevole risparmio in termini di tempo e di costi, nonché minor impegno di risorse che non potendo essere presenti, non possono garantire tempestività di intervento».