Stando alle dichiarazioni rilasciate a ottobre da Frances Haugen prima al Wall Street Journal e poi al Congresso degli Stati Uniti, gli algoritmi impiegati da Facebook privilegiano scientemente i contenuti più divisivi e polarizzanti. Questo perché sono contenuti che tendono a essere condivisi con maggiore frequenza dagli utenti, aumentando così il traffico sulla piattaforma e dunque anche il volume d’affari dell’azienda di Menlo Park. Inoltre, secondo una ricerca della New York University e dell’Università francese di Grenoble Alpes, su Facebook notizie false o tendenziose ricevono sei volte più mi piace e interazioni rispetto alle notizie affidabili.
Insomma, i toni accesi e i contenuti faziosi generano sui social network un engagement molto più alto delle notizie ben spiegate, accurate e verificate. Questo però porta ad una proliferazione di fake news e alla nascita di un circolo vizioso di propaganda che si ripercuote anche al di fuori dei social, sulla vita reale, inasprendo le divisioni, generando fazioni e portando il dibattito pubblico ad un livello di parossismo malsano e controproducente.
Si pensi alla questione del vaccino, sulla quale ormai si è raggiunta una polarizzazione estrema, o ancora, ai sovranismi che secondo alcuni studi troverebbero nel funzionamento dei social moltissimo terreno fertile.
Ma cosa c’entra l’intelligenza artificiale?
Se è sacrosanto che tutti abbiano diritto alla propria opinione, è però anche sano che la conversazione (online e offline) tra opinioni diverse e persino opposte proceda in modo razionale, possibilmente proficuo per tutte le parti. Ed è proprio in questo senso che può venirci in aiuto l’intelligenza artificiale, soprattutto quella “conversazionale”, ovvero quella che è in grado di interagire con le persone attraverso conversazioni vocali o scritte – si pensi ad esempio agli assistenti virtuali (Alexa) o ai chatbot.
L’intelligenza artificiale non può pensare al posto nostro, ma può sicuramente aiutarci a farlo nel modo corretto: spesso, infatti, la polarizzazione delle opinioni deriva dal fatto che non siamo in grado di riconoscere gli errori logici altrui o anche quelli che noi stessi commettiamo. È del tutto comprensibile: la maggior parte di noi non ha studiato nella vita le tecniche del dibattito, la retorica o la logica. Per questo potrebbe essere particolarmente utile un “assistente” che ci venga in aiuto e che sia in grado di evidenziare immediatamente la fallacia di un ragionamento, aiutandoci, quando siamo online, a discernere il vero dal falso, a prescindere da quelle che siano le opinioni personali. Un assistente sotto forma di app che possa darci qualche lezione semplice e pratica di logica, che possa eventualmente collegarsi ai nostri social se lo vogliamo, per aiutarci a scovare le fallacie, o che sia anche solo consultabile mandandogli un link via chat.
Un’idea tecnologica ma che ha radici nella Storia
Del resto, che un dibattito sano abbia bisogno dei giusti strumenti non è di certo un’idea nuova: fin dall’Antica Grecia il dibattito incarna l’ideale della discussione ragionata e argomentata, della tolleranza e dell’autoesame. A inizio Novecento, il filosofo Karl Popper era convinto che il dibattito fosse un utile esercizio per avvicinarsi alla verità dei fatti: “Io potrei sbagliarmi e tu potresti avere ragione e, con uno sforzo, potremmo avvicinarci alla verità”. Secondo l’International Debate Education Association “è, soprattutto, un modo per coloro che hanno opinioni opposte di discutere questioni controverse senza scadere nell’insulto o cadere nella trappola dell’emotività e dei pregiudizi personali”. E anche se raramente si termina un confronto raggiungendo un accordo, è molto probabile che si arrivi alla fine della discussione con una corposa analisi della questione in oggetto e con un orizzonte di informazioni e riflessioni più ampio nel proprio bagaglio.
Certo serve uno sforzo intellettuale e razionale, e la volontà di mettersi in ascolto, perché, per aggiungere una citazione di un altro importante pensatore, Hobbes scriveva che “coloro che approvano un’opinione privata la chiamano opinione; ma quelli che la disapprovano la chiamano eresia; tuttavia, eresia non significa altro che opinione privata”. Ma anche l’ascolto, si sa, è una questione di esercizio. L’esercizio al dibattito è uno strumento essenziale – e oggi quanto mai necessario – per lo sviluppo e il mantenimento della democrazia, ma anche per la costruzione di una società civile più aperta e consapevole.
Da professionisti che sviluppano intelligenze artificiali conversazionali e assistenti virtuali quotidianamente, pensiamo che uno strumento di questo tipo potrebbe giovare molto al dibattito pubblico e sarebbe un ottimo esempio di come la tecnologia, se usate nel modo corretto, possa diventare un potente alleato a favore della divulgazione della conoscenza e dell’autodeterminazione delle persone.
Denis Peroni e Karolina Kolodziej*
*Chief Architect Officer e Co-fondatore di Indigo.ai e Product Designer di Indigo.ai