ROMA – In Italia, ogni anno, più di 10mila pazienti scoprono di essere colpiti da tumore del colon-retto già in fase avanzata. La chemioterapia, in questo stadio, rappresenta la prima opzione, ma lo stigma che la circonda continua a essere molto forte. Il 64% dei pazienti colpiti da tumore del colon-retto ritiene che la chemioterapia faccia ancora paura. E solo il 37% è consapevole che questa arma è efficace anche nella malattia avanzata. Ma vi è un grande interesse per l’innovazione nella lotta contro il cancro: il 76% infatti è convinto che le terapie orali possano facilitare l’adesione ai trattamenti. Opinione condivisa anche dal 72% degli oncologi, che affermano in maggioranza (63%) che questa modalità di assunzione possa migliorare la qualità di vita dei malati. Sono i principali risultati di due sondaggi condotti su circa 200 pazienti con cancro del colon-retto e più di 250 oncologi, presentati oggi al Senato (Sala Caduti di Nassiriya).
I due sondaggi sono parte di un progetto promosso da Fondazione AIOM e realizzato con il contributo non condizionante di Servier, che include un opuscolo informativo destinato ai pazienti e distribuito in tutte le Oncologie e una sezione dedicata nel sito di Fondazione AIOM (www.fondazioneaiom.it). “Nel nostro Paese, nel 2018, sono stati stimati 51.300 nuovi casi di tumore del colon-retto, la seconda neoplasia più frequente dopo quella della mammella – afferma Fabrizio Nicolis, Presidente di Fondazione AIOM -. L’utilizzo di farmaci oncologici per via orale, che ha mostrato una rapida crescita negli ultimi anni, è legato a un incremento dell’aderenza al trattamento. I pazienti mostrano una netta preferenza per questo tipo di somministrazione, perché permette loro di non modificare in maniera sostanziale le abitudini quotidiane”. “La terapia oncologica orale, infatti, consente di realizzare gran parte del percorso di cura al domicilio, con una riduzione notevole della frequenza e della durata degli accessi in ospedale e un vantaggio significativo anche dal punto di vista psicologico – sottolinea Gaetano Lanzetta per Fondazione AIOM -. Maggior aderenza significa infatti miglior cura del tumore, minori complicanze associate alla neoplasia e maggiore efficacia dei trattamenti. Ne consegue un importante miglioramento dei risultati clinici e della qualità di vita”.
“Il tumore del colon-retto insorge, in oltre il 90% dei casi, a partire da lesioni precancerose che subiscono una trasformazione neoplastica maligna – spiega Daniele Santini, Ordinario di Oncologia Medica all’Università Campus-Biomedico di Roma -. Tra i fattori di rischio rientrano gli stili di vita scorretti, in particolare sedentarietà, fumo di sigaretta, sovrappeso, obesità, consumo di farine e zuccheri raffinati, carni rosse ed insaccati e ridotta assunzione di fibre vegetali. Gli stili di vita sani devono essere rispettati anche dopo la diagnosi, sia per prevenire l’insorgenza di recidive che per migliorare l’efficacia dei trattamenti. Dal sondaggio emerge che il 32% dei pazienti, al momento della diagnosi, era fumatore e il 54% in sovrappeso, ma preoccupa che solo il 56% abbia adottato uno stile di vita sano dopo la scoperta della malattia”. Senza dimenticare la prevenzione secondaria, cioè i programmi di screening. “Il 91% degli oncologi ritiene che il test per la ricerca del sangue occulto fecale, offerto gratuitamente dal Servizio Sanitario Nazionale a tutti i cittadini fra i 50 e i 69 anni, debba essere esteso fino a 74 anni – continua Nicolis -. Il ruolo di questo esame è infatti fondamentale, perché ha dimostrato di ridurre la mortalità per questa neoplasia fino al 20%. Ma, nel nostro Paese, l’adesione all’invito è scarsa, con un andamento stabile negli ultimi anni che supera di poco il 40% (42% nel biennio 2015-2016 e 41% nel 2017), con nette differenze regionali. È infatti maggiore al Nord (52%), intermedia al Centro (35%) e inferiore al Sud (24%)”.
In Italia vivono circa 471mila persone dopo la diagnosi di tumore del colon-retto. La sopravvivenza registra un aumento costante, con incremento percentuale e valori sovrapponibili in entrambi i generi: negli uomini si passa da un tasso pari al 50% a 5 anni nei primi anni ’90, per arrivare al 65% registrato nel 2005-2009, mentre nelle donne l’aumento è stato dal 52% al 65%.
“È importante che i pazienti siano consapevoli dei passi in avanti nelle opzioni terapeutiche – sottolinea il prof. Santini -. Il 20% delle diagnosi purtroppo è scoperto in fase metastatica. Nella maggior parte dei casi, la malattia avanzata non è adatta a un intervento chirurgico potenzialmente curativo. Ma, grazie alle nuove terapie, la sopravvivenza di questi pazienti è più che raddoppiata rispetto a vent’anni fa e raggiunge i 30 mesi. E aumenta sempre più l’attenzione degli oncologi nei confronti della qualità di vita, come evidenziato dal 74% dei pazienti. È disponibile in Italia una terapia orale basata sulla combinazione di trifluridina (FTD) e tipiracil (TPI) per il trattamento dei pazienti adulti con tumore del colon‐retto in stadio avanzato (metastatico), precedentemente trattati o non candidati ad altre cure come chemioterapia o terapie biologiche. Questo farmaco, che interferisce con la funzione del DNA e previene la proliferazione cellulare, ha dimostrato non solo di migliorare la sopravvivenza e di ridurre il rischio di morte, ma anche di garantire un’ottima tollerabilità”.
“Da un lato, la terapia oncologica orale può favorire l’aderenza con un minor numero di accessi in ospedale e, quindi, uno stress inferiore per i pazienti e i caregiver – continua Fabrizio Nicolis -, dall’altro esiste un potenziale rischio di non aderenza proporzionale al numero di compresse da assumere, al grado di percezione del rischio e del beneficio, alla complessità e alla durata del trattamento. Per questo, è importante offrire un supporto costante al paziente in terapia orale domiciliare con un monitoraggio dell’aderenza terapeutica attraverso l’utilizzo di strumenti come la compilazione del diario terapeutico e la previsione della ‘conta’ del numero di compresse assunte rispetto a quelle previste dallo specifico schema terapeutico. Il 66% degli oncologi infatti ritiene che il diario della terapia possa costituire un mezzo per migliorare la comunicazione medico-paziente”.
“I principali problemi che i pazienti oncologici devono affrontare, a seguito della diagnosi, sono di tipo psicologico, familiare e professionale – afferma Francesco Diomede, segretario A.I.Stom (Associazione Italiana Stomizzati) -. Vi sono inoltre pesanti ripercussioni che riguardano i rapporti sociali e le disponibilità economiche. Si comincia infatti a parlare anche nel nostro Paese di tossicità finanziaria, cioè delle conseguenze della malattia sul ‘portafoglio’ dei pazienti. Da qui l’importanza di disporre in tempi brevi di farmaci che garantiscano una buona qualità di vita. Anche il modello di assistenza oncologica va ripensato: devono essere istituite in tutta Italia le reti oncologiche regionali, che consentono a tutti di accedere alle cure migliori vicino al domicilio”.
“Oggi molti cittadini vivono a lungo con la malattia: in questi casi è possibile parlare di cronicizzazione – spiega Roberto Messina, Presidente Senior Italia FederAnziani -. Fin dalla prima fase delle scelte terapeutiche, è necessario considerare la qualità di vita. Non basta il vantaggio in termini di sopravvivenza o di mancata progressione della malattia, siamo di fronte a un cambiamento culturale importante. In questo senso, l’aderenza alla terapia svolge una funzione fondamentale, perché consente di migliorare la qualità di vita dei pazienti e di ottenere risparmi per il servizio sanitario. La popolazione anziana è quella più a rischio sotto il profilo dell’aderenza alle terapie, soprattutto in compresenza di numerose patologie. Per sensibilizzare tutti i cittadini, in particolare gli over 65, il Comitato Italiano per l’Aderenza alla Terapia (CIAT), ha promosso il primo progetto nazionale (Io aderisco, tu che fai?) che coinvolge i nipoti, che insegneranno ai nonni come rispettare le prescrizioni dei clinici”.
In 12 mesi, in Italia, il tumore del colon-retto ha fatto registrare un calo significativo di 1.700 nuove diagnosi: erano 53.000 nel 2017, 51.300 nel 2018. “In più di un decennio, dal 2003 al 2014, l’incidenza di questa neoplasia risulta diminuita – concludono Fabrizio Nicolis e Gaetano Lanzetta -. Tuttavia, i tassi sono aumentati nel Sud e nelle Isole, sia fra gli uomini che nelle donne. Le cause vanno ricondotte alla diffusione, in queste aree, del sovrappeso e dell’obesità, al progressivo abbandono della dieta mediterranea e al ritardo nell’avvio dei programmi di screening. Le campagne di sensibilizzazione devono andare proprio in questa direzione”.